Per lui settembre è un mese davvero importante. È nato il 6 settembre, è stato ordinato sacerdote il 25 settembre, è entrato in Diocesi a Rimini il 15 settembre.
Monsignor Francesco Lambiasi, di Bassano (Latina), è ormai più riminese dei riminesi, visto che gli hanno anche conferito la cittadinanza onoraria. Anche se un po’ gli si attorciglia la lingua, vanta anche qualche parola in dialetto romagnolo, ma non deve vantarsi perché ci sono senegalesi che in questo gli danno il giro. A lui piace tanto l’antico e modernissimo “tin bota”. Se l’avesse conosciuto prima forse l’avrebbe messo sul suo stemma episcopale.
La gente gli vuol bene. Non è rimasto solo il vescovo delle folle dei primi tempi, quando si era affascinati dai suoi modi e dal suo profondo e brillante argomentare le tematiche post conciliari, ma ci ha poi svelato la sua incredibile capacità di rendere personale ogni incontro. Grazie alla sua formidabile memoria (forse eccedo nel linguaggio confrontandola alla mia!) volti e nomi sono diventati ben presto persone, storie, bisogni di cui interessarsi e riconoscere fra la folla.
Rimini è una diocesi molto bella e ricca di proposte, iniziative, creatività, con tanti santi, più o meno proclamati, ma è anche una chiesa complessa, che fatica a muoversi unita (come del resto ogni altra realtà nel riminese), con forti individualità, ma anche tanto individualismo. Per lui questi 15 anni di servizio nell’episcopato non devono essere stati sempre semplici. A volte lo abbiamo visto affaticato e ce ne dispiace. Ma lui non si è risparmiato, e con generosità ha risposto ad ogni richiesta che provenisse dalle comunità, fosse anche il funerale di un giovane o di una mamma. Ha fatto dono ai suoi confratelli della sua presenza a tutti i funerali dei genitori dei suoi preti, a sottolineare con forza il senso di famiglia sacerdotale che ha sempre cercato di costruire.
È stato presente e disponibile anche quando, un po’ esagerando, certi sacerdoti lo tiravano per la tonaca a destra e manca, alle loro feste parrocchiali o anche a semplici ritiri per piccoli gruppi di parrocchiani. Comunque a lui piaceva essere presente fra la gente e per questo gli perdoniamo, sorridendo, qualche appisolamento improvviso durante gli incontri della diocesi, soprattutto nei primi tempi, quando non era ancora abituato ai tempi riminesi del giorno e della notte.
Ha dovuto convivere, anche pastoralmente, con difficoltà economiche, non determinate dalle sue decisioni, per molti anni. Tutto ciò certamente non lo ha aiutato in tante scelte che voleva fare, segni che voleva lasciare alla comunità cristiana. In quegli anni supportato dai suoi collaboratori ha comunque salvato il patrimonio di comunicazione che si era ritrovato e che anzi ha permesso crescesse, cosciente di tanti nuovi modi di annuncio del Vangelo, soprattutto a quelle che papa Francesco chiama “le periferie”.
Anche per questo, grazie Francesco