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Il Medioevo e i suoi medici

La malattia, la cura, la morte. La storia della vita dell’uomo è la storia di questi elementi che si mescolano: è la storia della medicina. Romagna Arte e storia, rivista quadrimestrale di cultura, dedica un intero numero (84, 2008) alle tematiche della salute e della malattia. Storie di salute e malattia, infatti, raccoglie – com’è nello stile della rivista culturale – una serie di saggi che ripropongono al lettore il caso e l’approccio fenomenico alla tematica. Si spazia da Le epidemie di vaiolo e la vaccinazione antivaiolosa a Cesena, a Salute, Malattia e morte a Rimini fra XVI e XVII secolo, passando per Spigolature mediche dal tardo Medioevo Riminese.
Ed è proprio su queste “spigolature” che vorremmo soffermarci.
Il saggio scritto da Oreste Delucca – che al Medioevo ha dedicato più di un libro e un ventennio di studi, ricerche e passione – fotografa, attraverso una serie di documenti aspetti curiosi e interessanti del periodo.
Scrive Delucca:
«Queste poche pagine non hanno certo la pretesa di offrire un quadro del sistema sanitario vigente a Rimini nei secoli finali del Medioevo; si limitano ad offrirne qualche spunto, tratto dalle fonti d’archivio. Mi riprometto di tornare in maniera più articolata sull’argomento, attraverso elaborazioni che riguardano: un censimento dei medici operanti a Rimini durante il Quattrocento; una indagine sulle spezierie ivi documentate e sul loro contenuto; una rassegna degli ospedali presenti nella città e nel contado. Qui basti ricordare, in premessa, alcuni dati di origine generale caratterizzanti lo stato della medicina di allora. A quel tempo, le conoscenze anatomiche e scientifiche erano scarse; l’uomo, che avverte tutta la propria debolezza nei confronti della natura, interpreta sovente la malattia come frutto dell’ira divina e cerca di difendersene mediante la religione (o, meglio, la superstizione); donde la fortuna delle preghiere strane, delle formule magiche, dei voti offerti alla pletora di santi protettori deputati a sanare i vari malanni. Il medico, armato di una dottrina meramente teorica, non possiede punti di riferimento sicuri; pertanto ha possibilità limitate (e gode di scarsa autorità). Le visite si esauriscono in un esame ispettivo e olfattivo; esamina gli umori; dell’espettorato giudica il colore e l’odore. L’esame più importante è ritenuto quello delle urine (non vi sono raffigurazioni sanitarie medievali in cui non compaia il medico mentre osserva il contenuto della matula). Le cure non oltrepassano il livello del semplice buon senso. Al malato si raccomanda una vita temperata e soprattutto una dieta regolata. Le terapie prevalenti comprendono salassi, purghe, applicazione di sanguisughe, bagni a vapore, farmaci a base di erbe coltivate negli orti monastici. Tutti esercizi che – si dice – esplicano il loro effetto secondo l’influsso dei pianeti; donde la stretta connessione che lega la medicina all’astrologia. Secondo la mentalità vigente, che sancisce la preminenza dell’attività intellettuale su quella manuale, il medico fisico (uomo di dottrina) siede su un gradino superiore rispetto al medico cerusico (chirurgo). Quest’ultimo è di fatto un subordinato; d’altra parte le sue possibilità sono condizionate non solo dalla carenza di scientificità, ma anche dall’assenza di pratiche anestetiche; generalmente si limita a curare ascessi, sanare fratture, operare amputazioni.
Su un gradino ancora più basso sta il barbiere (barbitonsor), cui compete togliere denti, effettuare salassi (minuere sanguinem), purgare, applicare mignatte e cataplasmi, medicare piaghe e ferite.
Se ancora oggi assistiamo a presenze nient’affatto secondarie, si può ben immaginare come nei secoli del Medioevo siano diffusi i praticoni e i ciarlatani che si spacciano per specialisti dell’arte medica. Di qui la norma, diffusa in tutti gli statuti cittadini, che impone il superamento di un esame presso il rispettivo Collegio dei Medici, che ha pure il compito di dettare le regole di comportamento professionale.

Un medico in comune
Per la cura della popolazione, di norma viene assunto un medico stipendiato dalla comunità, il quale deve esercitare gratuitamente le proprie mansioni, con il solo rimborso spese per le visite extracittadine. Quanto agli ospedali, le strutture del tempo assumono caratteri ben diversi da quelle odierne. Si tratta generalmente di realtà molto piccole e assai numerose, promosse da privati cittadini o istituzioni religiose; il loro tratto distintivo sta nella totale commistione tra funzioni sanitarie e funzioni meramente assistenziali. Anzi, lo spazio caritativo tende sovente a prevalere, onde non meraviglia che la Chiesa, per secoli, abbia rivendicato la sua preminenza sugli istituti ospitalieri. Solo a partire dal Quattrocento si avvertirà un graduale rovesciamento di ruoli, accompagnato da una crescente assunzione di responsabilità da parte del potere laico, che effettuerà soppressione di enti inefficaci, incorporazioni varie ed una radicale riorganizzazione del settore.(…)

Il rapporto tra medico e malato
Ci sono (nel saggio, ndr) dei documenti che fanno riferimento a contratti che si è soliti definire “con promessa di guarigione”. Queste fonti rendono esplicita una realtà molto diffusa nel Medioevo: la sfiducia reciproca che intercorre fra medico e malato. Il medico teme di non essere pagato; il malato teme di non essere guarito. Ecco, allora, la scelta di stipulare appositi accordi (alla presenza di testimoni e garanti), nei quali figurano in genere: il tipo di malattia oggetto della cura; il tempo entro cui il medico si impegna a sanarla; le modalità di verifica dell’avvenuta guarigione; l’ammontare della parcella medica; l’importo dell’acconto che viene versato all’atto della stipula; le modalità di versamento del saldo; l’intesa che, in caso di mancata guarigione, nulla sia dovuto al medico, il quale dovrà anche restituire gli eventuali acconti ricevuti; l’intesa riguardante i medicinali erogati nel frattempo (che possono risultare a carico dell’una o dell’altra parte).
Ecco, un esempio di contratto: -1434 gennaio 18. Pietro Zanni del castello di Gradara, soffrendo da tempo infirmitatem fistule in cossa dextra, si rivolge a magistro Guaspare cirusico filio Iacobi de civitate Fani habitatore civitatis Arimini, stipulando il seguente patto, etc… Il patto del 1434 vede il malato (con una fistola nella coscia destra) impegnarsi – in caso di guarigione – a prestare servizio per tre anni presso il cerusico, ricevendo unicamente vitto e vestiario. Ma questo è solo un esempio. Un altro datato 1487 si riferisce al malato di rescaldaxone che: se guarito nei prossimi 4 mesi corrisponderà la somma di 4 ducati (di cui due versati in anticipo); in caso contrario nulla dovrà e avrà diritto alla restituzione dell’acconto, restando comunque a suo carico le spese delle medicine. Un altro patto, del 1489, relativo ad un malato di lebbra, impegna il medico a guarire l’infermo entro un anno, prestandogli varie cure; la verifica della guarigione viene rimessa al Collegio dei Medici di Bologna, che dovrà controllare urine, sangue, sputo e ogni altra cosa opportuna; il compenso è fissato in 300 ducati, già depositati a garanzia, che spetteranno al medico solo in caso di accertato esito positivo. Altro caso è quello di un contratto del 1494 che riguarda un altro lebbroso, che un medico ebreo si incarica di ricoverare e guarire nel termine di 6-7- mesi al prezzo di 12 ducati; l’esito delle cure andrà verificato da due medici del Collegio di Rimini, che esamineranno la voce dell’infermo, l’urina, il sangue e ogni altro segno; in caso di mancata guarigione al medico non spetterà alcun onorario, mentre le medicine saranno comunque a carico del malato».
Il saggio di Delucca si chiude con un interessante Ricettario di medicina redatto nel XV secolo. Una sorta di volume in cui ci sono diversi spazi e intere pagine lasciate vuote. Spazi bianchi che nel tempo vennero colmati con atti “ad uso notarile”.
Uno di questi ricettari quattrocenteschi è conservato nella Biblioteca Gambalunga di Rimini.

a cura di Angela De Rubeis