Dottore, mi serve la ricetta per quel farmaco… Dottore, mi prepara l’impegnativa? Ho dolore al ginocchio e vorrei fare la risonanza magnetica… Dottore, devo portare il certificato di malattia al lavoro… Il telefono squilla, dall’altra parte del filo richieste di ogni tipo: da quelle semplicemente “burocratiche” per cui, nella maggior parte dei casi, è sufficiente lasciare una busta nell’apposita bacheca posta in sala di attesa, a quelle più complesse per le quali, spesso, tocca fornire una rapida diagnosi, per lo più a distanza. E intanto fuori dalla porta dell’ambulatorio la fila si allunga, dal primo all’ultimo paziente, dal primo all’ultimo numero.
È tutt’altro che un mestiere in crisi, quello del medico di famiglia. “Negli ultimi dieci anni il carico di lavoro è aumentato del 40-50 per cento“, spiega il dottor Bruno Sacchetti, segretario provinciale della Fimmg (Federazione Italiana Medici di Medicina Generale), l’associazione sindacale che rappresenta circa il 60-70% dei medici di base italiani.
“Se qualche decennio si fa si poteva supporre che con il progresso tecnologico, questo ruolo avrebbe via via limitato le sue funzioni, le cose sono andate molto diversamente”, aggiunge il dottor Valerio Nori, in rappresentanza dell’altro sindacato di categoria, lo Snami (Sindacato Nazionale Autonomo Medici Italiani), che snocciola anche qualche cifra: “Oggi, secondo un accordo regionale del 2006, un medico di base può avere fino ad un massimo di 1.500 pazienti residenti, cui possono aggiungersi al massimo altri 300 pazienti non residenti, tra stranieri e studenti provenienti da fuori provincia”.
Questo è quanto previsto dalla legge, ma come spiegano i rappresentanti dei due sindacati, nella pratica le cose possono complicarsi: con le ricongiunzioni famigliari (i figli che escono dai pediatri, per fare un esempio) il numero dei residenti può sfiorare le 1.550-1.600 unità mentre per quanto riguarda i non residenti un grosso problema a livello di comunicazione è rappresentato dagli stranieri. Problemi seri quando il camice bianco si trova ad essere molto più di un semplice “filtro” nel rapporto tra ospedale e paziente.
Un medico, più medici
A caricare sempre di più la responsabilità del “medico della mutua” ci sono anche altri fattori. “Pensiamo all’evoluzione di alcune patologie croniche o al forte aumento della popolazione anziana, alle dinamiche culturali degli ultimi venti-trent’anni – fa presente la dottoressa Lorena Angelini, direttore dei Dipartimenti di Cure Primarie di Rimini-Riccione – il lavoro si è spostato tantissimo sul territorio rispetto alle strutture ospedaliere. Una situazione che il medico non è più in grado di affrontare autonomamente”.
Dalla consapevolezza del rischio di un vero e proprio collasso per la categoria – nonché di gravi disservizi per la cittadinanza – è nata la decisione, in ambito nazionale e regionale, di promuovere e regolare l’associazionismo. “Con la Medicina di gruppo (tre o quattro medici che operano in orari diversi all’interno di una stessa struttura, ndr.) i nostri medici sono già abituati a lavorare insieme“, afferma Sacchetti aggiungendo come, per cercare di ridurre le file certi ambulatori si siano già dotati di personale infermieristico e di segreteria per le funzioni più burocratiche.
Il futuro del rapporto medico-paziente andrà sempre più in questa direzione con un ulteriore passaggio, quello ai Nuclei di Cure Primarie (Ncp) che rinnovano l’intero modo di lavorare del medico di famiglia, a 360 gradi.
I Nuclei di Cure Primarie
I Ncp sono regolati da un accordo regionale del maggio 2006 applicato dall’Azienda Usl riminese dall’aprile del 2007 quando è stato siglato l’accordo con Snami e Fimmg. “Ci siamo strutturati con 19 nuclei, 8 nel Distretto di Riccione e 11 in quello di Rimini. – illustra la dottoressa Angelini – I due nuclei strutturati, che possono contare su spazi di proprietà dell’Azienda Usl e che hanno fatto da apri-pista al progetto sono quelli di Morciano e Bellaria. Man mano si sta lavorando agli altri 17 nuclei” spiega il direttore dei Dipartimenti di Cure Primarie, “si tratta di un processo molto graduale, che richiede un passaggio culturale importante da parte dei medici“.
Otto i nuclei nel capoluogo, uno a Santarcangelo e un altro a Verucchio nel distretto nord (insieme a Bellaria, appunto); in quello a sud tre sono i nuclei formati per Riccione, uno a Misano, uno a Cattolica, uno a San Giovanni in Marignano, uno a Morciano e un altro a Coriano. I medici associati, in media una decina, possono variare da sei (nelle realtà più piccole) a diciotto. Fino a coinvolgere tutti i 240 medici di base operativi sul territorio.
Nei vari territori, fa sapere qualche medico coinvolto, i coordinatori dei vari nuclei stanno organizzando assemblee di aggiornamento. “I medici – spiega un medico di famiglia impiegato nella zona di Miramare – sono già stati tutti individuati, per ora si stanno individuando le strutture che dovranno ospitare questi centri. I tempi sono molto lunghi e nell’ultimo anno la cosa ha subito una battuta d’arresto, ma anche se dovremo lavorare di più per andare a coprire oltre alle ore dei nostri ambulatori, qualche ora anche nelle nuove strutture, a rotazione, noi medici non possiamo che essere d’accordo”.
“Uno dei principali strumenti per l’integrazione – spiega Angelini – è l’informatizzazione e la messa in rete dei professionisti di medicina generale appartenenti allo stesso nucleo. Gli assistiti potranno rivolgersi, se il proprio medico non è raggiungibile, anche ad altri dottori dello stesso nucleo, pur mantenendo il rapporto fiduciario con il proprio medico”. Sul proprio computer il medico di turno, con un semplice clic potrà accedere alla cartella clinica del paziente, alla sua anamnesi (storia) sanitaria, ai suoi esami, agli interventi effettuati in precedenza, e così via. Una procedura che in parte è possibile già oggi con la Medicina di gruppo.
L’accordo di base parla di una “presa in carico globale del paziente” e prevede “un ampliamento dell’orario di apertura degli studi medici dalle 8 alle 20, dal lunedì al venerdì, anche con possibilità di accesso per piccole urgenze ambulatoriali e ricette per farmaci urgenti“.
Il progetto va oltre mettendo “in rete” i medici di base, ma anche i pediatri di libera scelta con altre figure di specialisti nonché con i servizi ospedalieri e territoriali della stessa Azienda sanitaria (il pronto soccorso, ad esempio) attraverso il progetto Sole (sanità on line). Si inserisce qui la necessità di collegare in rete anche i medici di famiglia (che smettono il loro orario il venerdì alle 20) con gli ambulatori di guardia medica attivi il sabato e la domenica. Un aspetto, questo, previsto ma non ancora attuato.
Avanti piano, e i pazienti?
“Benché i progetti ci siano, le cose vanno avanti con una lentezza spaventosa – commenta il dottor Valerio Nori – manca ancora un accordo completo su cosa debbano essere questi nuclei. Come rappresentanza sindacale pensiamo che da qui la medicina generale possa ripartire realmente ma chi ha sempre lavorato con modalità burocratica è chiaramente più in difficoltà nel riorganizzare il proprio lavoro”. Di certo, conclude il segretario dello Snami, “per far fronte allo spreco di denaro pubblico che si è verificato nel tempo sull’onda di una logica sempre più commerciale e consumistica da parte di una certa medicina specialistica, servono grossi investimenti. E occorre mettersi nell’ottica che il ritorno si avrà solo nel tempo”.
Finiranno le lunghe file? E, soprattutto, com’è possibile per un cittadino sapere qual è il medico di riserva disponibile se questo non si trova all’interno della stessa struttura ambulatoriale del proprio medico di fiducia? “A Bellaria Igea Marina e a Morciano – precisa la dottoressa Angelini – sono stati distribuiti appositi depliant informativi per spiegare ai cittadini il progetto e i nomi dei medici associati ai due rispettivi nuclei. Nelle altre zone stiamo lavorando per mettere i medici in rete e informatizzarli. Nel corso dell’anno contiamo di terminare il tutto e di poter essere a pieno regime su tutto il territorio”.
Eppure a Bellaria qualche famiglia fa sapere di non essere a conoscenza dell’iniziativa, pure partita almeno un anno e mezzo fa, e di non aver affatto cambiato le proprie abitudini. Certo i risultati e i cambiamenti, come spiegato anche dall’Ausl, ci saranno solo nel tempo. E come i medici, forse, anche i pazienti ci metteranno un po’ ad abbandonare la vecchia concezione del rapporto esclusivo.
Alessandra Leardini