Le tre vittime montarono insieme sugli sgabelli. I tre colli furono infilati nei cappi allo stesso momento. «Viva la libertà!» gridarono i due adulti. Ma il ragazzo rimase in silenzio. «Dov’è Dio? Dov’è?» chiese qualcuno dietro di me. Ad un segno del comandante del campo, i tre sgabelli rotolarono… Cominciò la marcia dinanzi alle forche. I due grandi non vivevano più. Ma la terza corda si muoveva ancora; così leggero, il ragazzo era ancora vivo… Stette là per più di mezz’ora, lottando tra la vita e la morte, morendo d’una lenta agonia sotto i nostri occhi. E lo dovemmo guardare bene in faccia. Era ancora vivo quando io passai. La lingua ancora rossa, gli occhi non ancora vitrei. Dietro di me, udii lo stesso di prima domandare: «Dov’è Dio adesso?» E udii una voce dentro di me rispondergli: «Dov’è? Eccolo lì – appeso a quella forca…»”.
Non so se questo pensiero segni la morte della fede di Elie Wiesel o piuttosto l’aggrapparsi con le unghie ad una speranza nel dramma inumano del lager di Auschwitz. Ma è il chiodo che mi si è infilato nel cervello dopo un pellegrinaggio-lampo con amici parrocchiani, ancora scossi dalle parole blasfeme di un chierico scismatico che proclama la sua fedeltà a Dio, incapace di riconoscerlo nel volto di un fratello in croce.
Con la processione delle Palme e la lettura della Passione inizia la Settimana santa. Auschwitz voleva cancellare Dio dal mondo e dal cuore dell’uomo. Ma dal Block più terribile, quello del muro della morte, giunge un duplice messaggio di speranza. Nel sotterraneo dove per la prima volta fu sperimentato lo Ziklon B, il gas assassino, ci sono due celle. Nella prima, quella delle torture, due graffiti sono scolpiti sul muro: una croce ed un sacro cuore; quella accanto è il luogo dove morì padre Kolbe: aveva offerto la sua vita in cambio di quella di un giovane papà. Non è solo un gesto di eroismo personale, ma una professione di fede incarnata, è l’amore che vince il male e la morte. È l’Amore del Dio della vita. “Se il grano caduto a terra non muore non produce frutto, se invece muore…”. annunciava il Vangelo di quel giorno. Ma un dubbio s’insinua: se Auschwitz, con il suo milione di vittime, è il grido più forte di Dio in croce, l’uomo è ancora disposto ad ascoltarlo?
Giovanni Tonelli