Franco Nanni incarna l’altra faccia del pallone. Il calcio che rimbalza per amore. Per amore di uno sport che riesce a regalarti emozioni, e per gli ex colleghi che – appesi gli scarpini al chiodo – si sono trovati in “fuorigioco” nella vita.
Riccionese di nascita, riminese di cuore, terzino di ruolo, Nanni – classe 1944 – dentro e fuori dal campo è sempre stato un gentiluomo. Oltre 150 gare in Serie A con le maglie di Venezia e Verona, un campionato vinto in Serie B e una finale di Coppa Italia persa col Napoli, c’è anche lui nei gialloblù passati al mito per la “fatal Verona” che mata il Milan.
Un gentiluomo lo è stato sul rettangolo di gioco, ha continuato a rivestire quella maglia in seguito, fondando con il socio ed ex allenatore Osvaldo Bagnoli, una associazione veterani gialloblù.
“Anche nel calcio non è tutto oro quel che luccica. Ci sono tanti ex calciatori che, una volta terminata la carriera, sono stati meno fortunati di me. La proposta di un’Associazione, la prima Onlus del genere in Italia, è stata accolta dal 1999 da tantissimi: Fanna, Penzo, Tommasi, Sacchetti, Maioli. Ora siamo un centinaio di tesserati tutti ex calciatori veronesi. L’Asd si occupa di progetti di beneficenza attraverso l’organizzazione di eventi sportivi e di intrattenimento il cui ricavato va ad altrettante associazioni ed enti di volontariato del territorio veronese. Servire disinteressatamente è il motivo che caratterizza i membri dell’Asd che a titolo assolutamente gratuito si adoperano per realizzare i progetti che hanno permesso di raccogliere in questi anni centinaia di migliaia di euro”.
Questo è il genere di iniziative in cui l’importante non è vincere, ma partecipare.
“Sono tanti gli ex giocatori che hanno bisogno di una mano. Noi proviamo a dargliela. Anche se la prima difficoltà da superare è la ritrosia di chi non è abituato a chiedere, e se ne vergogna”.
Per l’Associazione si è ispirato al Barcellona.
“Grazie all’amicizia con Ramon Alfonseda, ex centravanti e capitano del Barca, vantiamo uno storico gemellaggio con i veterani dei Blaugrana. La Agrupacion de Veteranos del Barça là è una vera e propria istituzione: dà un senso di futuro a chi nel passato è stato giocatore di un club, e vive oggi un presente difficile, talvolta drammatico. Questo modello di solidarietà è per noi motivo di grande orgoglio”.
Assistete calciatori, ma non solo.
“Una collaboratrice storica del Verona, una guardarobiera oggi ottantenne, ha 600 euro di pensione e 300 se ne vanno per l’affitto. Non è dignitoso: ci penseremo noi”.
Ha iniziato a giocare al calcio nel Rimini, nel 1976 è ritornato, nonostante le richieste non le mancassero.
“Avevo già un albergo a Riccione e mia figlia doveva andare a scuola. Il Rimini era in B, guidato da un gentlemen come Meucci, e così ho preferito avvicinarmi a casa”.
Purtroppo non fu un idillio.
“Rimasi a Verona due settimane per un’operazione di mia figlia. Tornando, trovai una situazione incredibile. Esonerato Meucci, fu preso Herrera che però non poteva allenare a causa di una squalifica. L’allenatore Becchetti era un prestanome, Herrera dava le indicazioni a capitan Di Maio. Il caos più assoluto”.
Il cuore biancorosso ha continuato a battere biancorosso. Entra nel direttivo.
“Merito di un grande personaggio: Dino Montesi. Acquistai 4 milioni di quote”.
E a metà anni Novanta fece il salvataggio più importante della sua carriera, anche se non compare negli annali del calcio.
”La società era in ambasce, il Presidente Orfeo Bottega non riusciva a far fronte ai debiti. Mi chiamò Cappelli: serviva una fideiussione di 400 milioni per iscrivere la squadra in C2. Proponeva di dividerci la quota in 20. In banca scoprì che eravamo solo cinque: se non avessi firmato in giornata, sarebbe stata bancarotta. Faccio un atto d’amore e firmo la fideiussione”.
Al convegno Sport con Gioia di Pietracuta ha raccontato di aver vissuto finora tre vite.
“La prima è la carriera da calciatore. La seconda è la partita giocata con la sofferenza. Avevo un fratello con sindrome di Down e una bimba di 9 mesi, quando la maggiore di 9 anni si ammala gravemente: i medici le danno pochi mesi di vita. Nel 1978, a 31 anni. muore mia moglie in un incidente. In quei frangenti ho compreso che il senso della vita non è scegliere l’auto migliore. Avevo bisogno di amore”.
E ha persino ripreso a giocare al pallone.
“In serie C al Riccione, insieme a Pellizzaro. Poi a Rivazzurra. Tre anni a gratis: i soldi dei premi partita li facevo dividere tra i ragazzi”.
Fin qui le sue due prime vite. E la terza?
“Inizia in Brasile. Quattro anni dopo la morte di mia moglie, trascorsi ad occuparmi delle figlie, seguo alcuni amici in Brasile. Portiamo aiuti a un sacerdote riminese nel Mato Grosso. Sollecitato da allenatori e da un agente Fifa, vado a seguire allenamenti e partite di Zico. A districarmi mi aiuta una ragazza. Tre giorni dopo il mio ritorno mi segue a Riccione, un anno più tardi diventa mia moglie, abbandonando la professione di hostess al seguito del Re di Spagna”.
Si è speso tanto per gli altri.
“La partita organizzata nel 1988 tra Bologna e Verona ha fruttato 30 milioni prontamente girati allo Ior. Non si può ignorare chi è accanto a te e necessita di aiuto”.
Paolo Guiducci