La festa del Patrono non ha solo valore religioso ma anche civile.
Se è vero che ogni festa non assolve semplicemente una funzione pratica, per altro non trascurabile, ma riveste un pregnante significato simbolico, allora è da ricordare l’alto valore identitario che assume una festa patronale. Celebrare San Gaudenzo per noi riminesi significa riconoscere nel fondatore della Chiesa locale non solo un modello di umanità compiuta, ma anche il portatore di un ideale di città a misura d’uomo, una comunità civile, tollerante, solidale, accogliente. Trasferire la ricorrenza di San Gaudenzo, come di San Ambrogio o San Petronio, alla domenica seguente, equivale a scolorire quella festività, di fatto a trascurarla. A chi giova oscurare la tradizione da cui veniamo, indebolire le radici della nostra cultura, frammentare il nucleo del patrimonio di un ethos condiviso?
Una festa, questa, che vorrei impiegare facendo una riflessione sui giovani.
Non facciamo fatica a riconoscere quanto l’attività dei giovani abbia un cospicuo valore sociale aggiunto, in quanto è mirata a formare non solo dei cristiani adulti e maturi, ma anche dei cittadini liberi e forti. Questa attività si può riassumere nell’immagine della Cattedrale, simbolo eloquente del molto che la Chiesa ha da ricevere dai giovani e del molto che ha da offrire loro.
È importante che la Cattedrale sia e resti idealmente sempre aperta, perché la soglia di ingresso sia transitabile in senso bidirezionale, per dire ai giovani che sono dentro: “andate in Città” e a quelli che sono fuori: “entrate in Chiesa”. Per i giovani, entrare in Chiesa significa riconoscere che le domande del cuore umano e i problemi della convivenza civile hanno una ineliminabile dimensione spirituale e trascendente.
D’altra parte, per i giovani “entrare in Città” significa riversarsi nelle strade, come dice il Vangelo, e chiamare ciechi, storpi, sordi, per invitare tutti al banchetto del Regno. Significa, fuor di metafora, vincere la paura che parlare di poveri, di disoccupati, di immigrati senza casa o senza lavoro, di drogati o di depressi, sia fare il verso al linguaggio di moda, prendere la tangente della denuncia demagogica, fare del sociologismo gratuito, tradire Cristo per l’uomo. Entrare nella Città significa piuttosto non chiudersi in sagrestia, ma battersi perché la Città sia più <+cors>civitas<+testo_band>, più civile e abitabile, perché l’uomo sia più uomo, perché i giovani siano più giovani, perché il mondo sia più “mondo”.
Si dice: i giovani sono disaffezionati dalla politica. Domandiamoci: di chi è la colpa? Se “disaffezionati” è un verbo al passivo, chi è il soggetto attivo e responsabile di questa disaffezione?
La prima cosa da fare per restituire ai giovani i loro sogni e il loro futuro è bonificare la palude da questa malaria che ci sta ammorbando tutti. Infatti la crisi che sta mietendo vittime soprattutto tra i giovani, prima che finanziaria e politica, è una crisi morale. È vero: ad inquinare l’aria del cielo di Rimini sono anche le nubi tossiche che vengono dall’area nazionale e internazionale, con lo scandaloso degrado etico. Ma chi ci impedisce di attivare noi, qui a Rimini, delle iniziative che in senso metaforico potremmo chiamare “anti-smog”? Penso in concreto al superamento della logica dello scambio, della rendita, e dell’appartenenza. In altre parole, deve cessare quel logoro costume che misura il valore delle persone e delle iniziative sulla base di quanto “portano” in termini di consenso elettorale o sul fatto di essere legate a cordate di “amici”.
Inoltre si dovrà ampliare la funzione dei Comuni nella lotta all’evasione fiscale, che quindi dovrà coordinarsi con l’Agenzia delle Entrate e la Guardia di Finanza al fine di individuare i redditi occultati. Questa strada ci pare debba essere percorsa con equilibrio e determinazione, non esitando, per paura di perdere consenso elettorale, a intervenire su gruppi e lobby che dell’evasione fiscale hanno fatto un’abitudine consolidata.
Si dovrà superare anche la subcultura della rendita per attivare il circuito virtuoso di una impresa non più imitativa ma innovativa: è, questo, uno dei modi per rivolgersi ai giovani sollecitandone la creatività, l’impegno e l’intelligenza. Essere innovativi vuol dire infatti battere strade nuove, facendo crescere la società. E i giovani sono i principali attori di quella innovazione di cui sentiamo così fortemente il bisogno.
Tra le questioni che richiedono costante vigilanza è certamente la presenza pluriennale nel nostro territorio di organizzazioni criminali di stampo mafioso.
Bisogna fare politica con i giovani e fare politiche per i giovani. Papa Benedetto non si stanca di ripetere che l’Italia ha bisogno di «una nuova generazione di uomini e donne capaci di promuovere non tanto interessi di parte, ma il bene comune». Non dimentichiamo mai che Rimini è ripartita dopo la guerra con politici come Alberto Marvelli, l’Italia con padri costituenti appena ventenni. Fare politica con i giovani non significa però cadere in giovanilismi facili e irresponsabili. Coinvolgere i giovani nella politica significa valorizzarli e sostenerli nella vita quotidiana: perché si fa politica dal basso, sul luogo di lavoro, nel modo di vivere la famiglia, le relazioni, l’accoglienza del povero e del diverso. In tutti questi ambiti, le idee e le esperienze dei giovani possono aiutarci.
Ma i giovani, come sempre, hanno bisogno di modelli. Mi mette tristezza sentire in bocca a ragazzi che manifestano in questo autunno caldo (non solo in senso meteorologico) – anche se per motivi giusti – slogan vecchi di decenni, ereditati da ideologie – dell’una come dell’altra parte politica – che non esistono più nel mondo reale, sconfitte dai fatti e dalla storia.
Il mondo adulto nel suo insieme, quello della politica, dell’economia, dell’educazione e della società civile, deve avere il coraggio di proporre ai giovani mete alte, un’ideale di vita buona, che ponga al centro il valore integrale della persona umana e l’impegno disinteressato per il bene comune. Questa proposta per essere credibile richiede però di essere, più che predicata, praticata con scelte personali e collettive serie e coerenti.
<+cap3Cfg>S<+testo_band>nocciolare numeri è una pratica arida e può risultare sterile se non consideriamo i volti e le storie che danno “carne” a questi numeri. Però, è un fatto che negli ultimi tre anni è aumentato in modo esponenziale il numero di giovani riminesi emigrati all’estero in cerca di fortuna. Molti di loro hanno una laurea. Perché vanno via? Sicuramente perché qui non trovano il lavoro. Ma anche perché le loro idee non trovano spazio in questo territorio. D’altra parte, quest’anno la nostra università accoglierà il 20% di matricole in più rispetto all’anno passato. Questo significa che nonostante la crisi, i giovani continuano a sperare e a sognare il futuro. Alla nostra comunità spetta accogliere quelli che vengono da fuori. A questo proposito, è da accogliere con estremo favore l’accordo tra università, comune e agenzia delle entrate contro gli affitti in nero agli studenti.
<+cap3Cfg>L<+testo_band>’Università di Rimini e le sue prospettive di sviluppo rappresentano un punto cruciale per la città. La Diocesi stessa ha negli anni stabilito, attraverso le proprie articolazioni, un positivo rapporto con la sede universitaria. Il radicamento sul territorio, il potenziamento della ricerca, l’auspicata presenza di qualificati dipartimenti, la proficua integrazione con il tessuto locale, le esigenze di studenti e docenti costituiscono alcuni dei più importanti punti di lavoro su cui Rimini è chiamata a rispondere in maniera corale. Non si tratta di difendere un vessillo, ma di affermare – rendendone possibile la continuità e l’incremento – la presenza attiva e reale di uno strumento essenziale per la formazione.
Un’altra delicata questione è la questione Carim. La fase di temporanea difficoltà attraversata dal maggiore istituto bancario locale contribuisce ad acuire le preoccupazioni per le prospettive di sviluppo economico e finanziario del territorio riminese. Come non auspicare, allora, che la Città e la Provincia – nelle loro componenti economiche, culturali, sociali ed istituzionali – sappiano mettere in comune tutte le loro migliori energie, in ausilio della Fondazione Cassa di Risparmio, per difendere e accompagnare fuori dalle criticità contingenti gli strumenti che, storicamente, si sono rivelati più utili per aiutare la crescita di famiglie, operatori, imprese del territorio riminese? È un metodo di mutualità che appartiene alla migliore tradizione di questa terra e che dobbiamo sempre più riscoprire ed alimentare.
Mi rendo conto di quanto pesino sulla possibilità di iniziativa e di promozione degli Enti locali i tagli nei fondi governativi, previsti dalla Finanziaria. Eppure siamo consapevoli che la difficoltà nel reperire risorse non può essere invocata come giustificazione per l’inazione e la mancata assunzione delle proprie responsabilità, né può giustificare il venire meno del dovere di un’amministrazione attenta al bene comune e capace di scelte coraggiose e oneste. Proprio le situazioni di difficoltà debbono diventare l’occasione per superare sprechi ed inefficienze, puntare all’essenziale investendo su ciò che davvero conta, intraprendere con determinazione quella nuova e promettente via dell’amministrazione condivisa che vede nella sussidiarietà circolare una nuova pista di lavoro culturale e politico. Solo una mobilitazione corale ed una comunitaria assunzione di responsabilità ci consentirà di superare le difficoltà e guardare al futuro con fiducia.
In tal senso, il recente Piano Strategico del Comune di Rimini rappresenta un esempio riuscito di forum deliberativo, al quale hanno attivamente partecipato e contribuito numerosi rappresentanti della società civile, delle aggregazioni laicali cattoliche e delle diverse associazioni di volontariato. Tale lavoro va continuato: auguriamoci che quanto prima si passi alla “fase 2”, quella delle decisioni concrete e attuative.
Noi adulti, spesso con nostalgia, delusione e forse anche rassegnazione, diciamo che i giovani sono il futuro, Chiediamo loro di sognare anche per noi. Buttarsi, osare, puntare verso l’orizzonte per superarlo dovrebbe essere nel loro Dna. La realtà, però, sempre più spesso taglia le gambe a questi sogni. Le gambe a questi sogni dobbiamo allora mettercele anche noi. Dare fiducia: incoraggiare, consigliare. Perché i giovani hanno bisogno di guide: a livello umano e professionale oltre che spirituale. Oggi c’è bisogno di coraggio, anche se molte scelte sono dominate dalla paura: paura di sbagliare, paura delle conseguenze, paura più in generale di un futuro incerto e poco roseo. Un cantautore amato dai giovani, Jovanotti, scrive: “Ho due chiavi per la stessa porta. Per aprire al coraggio e alla paura”.
Che nella nostra Città si chiuda la porta alla paura e si apra alla speranza e al coraggio!
Francesco Lambiasi