La pittura romagnola del Rinascimento è forse un episodio minore della grande storia dell’arte italiana, ma non per questo è meno generosa di capolavori d’arte sacra e di affascinanti vicende biografiche e critiche. Tra le più curiose v’è senza dubbio quella di Girolamo Marchesi da Cotignola (1476-1545 ca.), la cui opera non esigua fu, a dir così, divisa in due dagli storici e attribuita erroneamente a due distinti “Girolami”. Il primo ancora “quattrocentesco”, attardato, elegantemente arcaico; il secondo moderno, audace, pienamente rinascimentale. Eppure i due erano e restano uno solo: un unico pittore che evolve con impressionante rapidità e consapevolezza verso nuove idee estetiche e nuovi orizzonti formali, quasi che avesse raccolto tra le sue mani tutta l’eredità artistica del XV secolo per innestarla nel grande meriggio del primo Cinquecento, illuminato dal sole giovane e maestoso di Raffaello. Non si pensi, tuttavia, che la prima fase del maestro sia da considerarsi inferiore, tutta costellata di esperimenti acerbi e indecisi, rispetto alla seconda: i due periodi si distinguono nettamente per le scelte stilistiche non per la qualità pittorica sempre altissima e di forte coinvolgimento emotivo e intellettuale. A ricomporre in unico arazzo i due lembi di un tessuto così complesso e pregiato giunge ora la definitiva monografia di Raffaella Zama: un bel volume recentemente edito da Luisé con l’appoggio della Fondazione Cassa di Risparmio di Rimini e inserito nella prestigiosa collana «Il Vello d’Oro» diretta da Girolamo De Vanna.
Il saggio critico dell’autrice è preceduto da un ampio regesto documentario arricchito da numerosi inediti che chiarificano non pochi elementi della vita e dell’opera di Marchesi, facendo giustizia di errori e imprecisioni. L’opera, d’altro canto, è il frutto di un faticoso studio decennale ed era a lungo attesa nel mondo scientifico dell’arte che aveva già apprezzato il rigoroso metodo d’indagine della Zama per l’altra importante monografia da lei scritta, quella dedicata agli Zaganelli e pubblicata nella stessa collana. D’altra parte proprio a Francesco e Bernardino di Bosio Zaganelli, pittori cotignolesi anch’essi, il Marchesi guarda come ai suoi iniziali ispiratori: la Zama, “concittadina” di tutti e tre i maestri, sottolinea ora il rapporto di simpatia di Girolamo per le pitture di Francesco, un elemento culturale mai indagato con tanta attenzione e perspicacia. Anche questo esempio ci dice molto del modo di lavorare dell’autrice, la quale, pur avendo profondamente e rispettosamente assimilato tutta la letteratura specialistica, ha voluto esaminare da principio ogni questione riguardante il maestro di Cotignola, fidandosi con coraggio dei propri occhi e delle proprie capacità di analisi e confronto, non volendosi appellare all’autorità di alcuno o dare per scontati i sentieri percorsi dagli illustri studiosi che l’hanno preceduta nella ricerca. Un’altra notevole novità critica riguarda il valore dato alla circolazione delle stampe che ha caratterizzato molta parte dell’attività del Marchesi. Detto questo, il pregio fondamentale del libro della Zama sta nella convincente visione unitaria dell’opera di Girolamo, ricostruita ricucendo tutti gli scarti stilistici, le scelte di forma, i modi di presentare la figura e lo spazio che emergono dai due periodi del pittore. Parlano da sole le ampie, limpide e precise schede delle opere che fanno il punto sulla storia critica di ogni dipinto e che evitano al lettore curioso la necessità di recuperare la letteratura passata sull’argomento.
Alessandro Giovanardi