La notizia della rinuncia di Papa Benedetto XVI lo ha colto di sorpresa, ma non lo ha lasciato né smarrito né orfano. “Non sono sbalordito perché segnali in questa direzione circolavano già da tempo. Il Papa stesso nel libro intervista con il giornalista Peter Seewald Luce del mondo, pubblicato nel 2010 aveva anticipato qualcosa del genere. Altre tracce le aveva seminate specialmente di ritorno dai viaggi in Brasile e Cuba”. L’economista riminese Stefano Zamagni più volte ha collaborato con Benedetto XVI, per il quale è stato consultore per l’ultima enciclica Caritas in Veritate.
Zamagni, cosa rappresenta la decisione del Pontefice per la comunità cristiana?
“Questa scelta epocale operata dal Santo Padre ha immediatamente suscitato tante interpretazioni, ognuna delle quali riflette un particolare punto di vista.
Della rinuncia al ministero petrino, un credente darà un’interpretazione differente da quella di un laico non credente.
Un punto fermo e di convergenza tra le diverse posizioni, è rappresentato però dal fatto che questo pontificato tutto sommato breve (meno di 8 anni), ha segnato un punto di svolta nel pensiero della Chiesa, in particolare sul fronte della Dottrina sociale della Chiesa che non si occupa solo del pensiero in senso economico ma anche politico e sociale”.
Quale segno il Papa ha maggiormente impresso alla Chiesa universale?
“Come Giovanni Paolo II con l’enciclica Centesimus Annus ha chiuso il ciclo della modernità, Benedetto XVI con la Caritas in Veritate e le precedenti encicliche (Spe salvi e Deus caritas est, da leggersi come una sorta di preparazione all’ultima), inaugura un nuovo ciclo della postmodernità, fase storica caratterizzata da due eventi di portata epocale – globalizzazione e rivoluzione delle tecnologie info-telematiche – che hanno rivoluzionato i processi produttivi e la distribuzione del reddito e della ricchezza.
Il Papa, da profondo teologo qual è, aveva compreso che era necessario rileggere alla luce dei principi della Dottrina Sociale le res novae di questa fase storica”.
Cosa emerge da questa rilettura?
“Sostanzialmente tre punti. Primo: non basta occuparsi e preoccuparsi del modo di distribuzione della ricchezza come fecero le encicliche dalla Rerum Novarum in avanti, ma intervenire sui modi di produzione della ricchezza.
Non è sufficiente intervenire post factum, per sanare gli effetti di un certo modo di produzione (magari in violazione dei diritti umani fondamentali o negando la dignità della persona) ma intervenire sulle cause al momento della produzione.
Il secondo punto è una grande innovazione, l’affermazione cioè di Papa Benedetto sul principio del dono come gratuità che deve abitare naturalmente l’economia. Secondo Benedetto XVI, infatti, la sfera economica non può essere concepita come separata da altre sfere, in particolare dalla sfera morale.
Per i centri di potere finanziari, la sfera economica ha invece le sue leggi e non ha nulla a che fare con l’etica, la quale al massimo interviene successivamente quando si tratta di mettere mano al portafogli per cercare di essere generosi con i meno abbienti e i più sfortunati.
Il terzo punto riguarda il modello di ordine sociale verso il quale stiamo procedendo.
Oggi nessuno mette in discussione l’economia di mercato ma sono tanti i modelli di economia di mercato. Fino alla Centesimus annus c’era ancora chi pensava ad un’alternativa all’economia di mercato, cioè un’economia pianificata di tipo sovietico o parasovietico, oggi nessuno lo crede possibile, però si dimentica che non esiste un modello unico ma c’è un’economia capitalistica, un’economia liberista, un’economia sociale di mercato e l’economia civile di mercato
Se leggiamo in controluce la Caritas in Veritate, vi scopriamo che i principi della Dottrina Sociale della Chiesa oggi sono maggiormente interpretati e applicati entro il modello economia civile di mercato, che punta tutto sulla partnership tra mercato, politica e società civile, da cui il principio di sussidiarietà”.
Lei ha collaborato a stretto contatto e per lungo tempo con Benedetto XVI. Che ricordo personale conserva?
“Le occasioni di incontri con Papa Benedetto sono state plurime e per diverse ragioni. Il Santo Padre ha pure avuto la bontà di insignirmi del titolo di Cavaliere Commendatore dell’Ordine di San Gregorio Magno, consegnandomi la medaglia con simboli e stemmi, e usando parole di conforto che mi hanno molto gratificato.
Potrei citare altri episodi di questo tenore. Preferisco ricordare la straordinaria umiltà e la grande intelligenza del Pontefice. Bastava proferire poche parole chiave e Benedetto XVI aveva già compreso tutto, anche in ambiti che non sono propriamente quelli della sua formazione intellettuale, filosofica e teologica.
Anche in economia ha dimostrato una capacità di penetrare il problema, che non ho trovato neanche in tanti addetti ai lavori.
La sua rinuncia è poi un’ulteriore conferma della sua umiltà. Come altro definire il gesto di riconoscere di fronte al mondo intero e alla Chiesa di non essere più grado di guidare al meglio la barca di Pietro e addirittura chiedere perdono per i difetti? È un atteggiamento non molto frequente anche all’interno della stessa Chiesa e credo servirà di monito per tanti che anche all’interno della gerarchia ecclesiastica pensano di essere indispensabili o non assogettabili alle critiche.
Persino nella Prefazione al libro su Gesù il Papa apre la porta alle critiche. Ha raggiunto un livello di umiltà che solo una persona di profonda fede e grande generosità e carità in grado di esprimere”.
(a cura di S. Mulazzani/P. Guiducci)