Vale la pena scrivere della campagna “Dillo in italiano”, lanciata di recente contro l’abuso ingiustificato di termini stranieri, dopo che ne hanno già parlato top blogger, twitstar e opinion leader? Non appartenendo a nessuna di queste categorie, posso tranquillamente farlo senza il pensiero di arrivare dopo qualcuno. Appartengo invece alla categoria dei laureati in lingue, come testimonia quella pergamena da qualche parte in casa, e mi sento di dire che il fascino delle lingue straniere sta appunto nell’essere qualcosa di diverso dalla nostra, un ”altro” che non intimorisce ma che fa venire voglia di conoscere culture e popoli, e di capire cosa c’è dietro le diverse sfumature con cui si esprime un concetto comune ai nostri. Ma aggiungo che ci vorrebbe anche un po’ di rispetto per i nostri anziani che magari faticano a comprendere certi termini usati disinvoltamente dalle generazioni più giovani. Penso agli “yardseers”, come prima o poi saranno chiamati gli “umarel”, ovvero i pensionati che passano le giornate ai cantieri. Quando inizieranno i lavori per la riqualificazione del lungomare di Rimini, ad esempio, si troveranno di fronte a cartelli che parlano di “waterfront”, termine che forse non tutti capiranno. E quando a sera a casa gli chiederanno dove sono stati, risponderanno confusamente “Boh. Uj’era un cartel che scuriva d’un water…”.