Le leggende popolari, che hanno come tema il Natale nel momento del primo terrestre contatto di Cristo con gli uomini, non smentiscono la capacità della gente semplice di cogliere nel segno fondamentale della vicenda, seguendo il racconto evangelico e sviluppando i temi che in esso sono suggeriti.
La riflessione collettiva pare avere individuato nella narrazione della Notte Santa un elemento essenziale: l’annuncio della Salvezza eterna, al quale corrisponde l’offerta d’un dono. Se si guarda il Presepio è facile vedere che ogni statuetta rappresenta nel suo abbigliamento e nel gesto un’attività umana e ogni attività rappresenta se stessa con il frutto del suo lavoro che in una quantità simbolica ogni figura depone ai pedi di Cristo.
Al dono smisurato, divino del riscatto dal male e dalla morte l’uomo offre riconoscente a sua volta il modesto frutto del suo lavoro e delle sue fatiche: il pastore il latte, il mugnaio la farina, il contadino i prodotti della terra, il fornaio il pane… non certo come compenso dell’immenso bene ricevuto, ma come simbolo della sua volontà, del poco che ognuno sa fare con l’onestà, l’impegno, la fede che si aggiungono al molto ed essenziale che Cristo dona all’umanità.
Accanto ai racconti di struttura elementare che narrano come pastori, contadini, artigiani depongano semplicemente la loro offerta davanti alla cuna, ve ne sono altri di natura più complessa che scoprono i pensieri, le situazioni particolari e le difficoltà dei personaggi scandagliandone l’animo e la disposizione verso il grande evento.
Questa storia della povera donna che andò alla capanna a offrire l’olio, la sola cosa preziosa che aveva, indica che il sentimento ha una valore superiore a quello della offerta concreta.
La vecchina dell’olio
C’era vicino a Betlemme una povera vecchietta che, rimasta sola, viveva in una capanna poco lontano dalla strada principale. La notte che nacque Gesù sentì passare nella via sempre più viandanti che parlottando se ne andavano tutti nella stessa direzione.
Che sarà successo? disse alzandosi da letto e, messasi addosso qualche panno raggiunse la strada e seppe dai passanti che era nato il Messia.
Vado anch’io, vado anch’io… decise e in fretta e furia si vestì, ma, fattasi sulla porta si domandò: Cosa gli porto al Signore che non ho proprio nulla? Guarda guarda, fruga fruga con la lucerna vide nella madia un’ampolla d’olio. Era un bel vaso col manico, il beccuccio, panciuto e dipinto, unico ricordo che gli era rimasto della sua mamma che gliel’aveva lasciato prima di morire. Questo no, disse, questo non è possibile… eppure non ho altro di decente: panni, stoviglie, miele, non ho nulla di nulla. Ho solo quest’ampolla d’olio buono con cui faccio cena. Di presentabile non c’è altro… porterò questa.
La involse in un panno, la prese tra le braccia e s’avviò per la strada. Ora mentre camminava svelta svelta arrivò una capra di corsa che era scappata di mano a un contadino che le gridava dietro e nel buio si volse, ma non riuscì ad evitarla: la bestia l’urtò con violenza facendole cadere la bella ampolla che finì a terra in mille pezzi, mentre la capra e il contadino sparirono nel buio.
Che faccio ora? si mise a piagnucolare, che vado a fare alla grotta del Signore così a mani vuote come una pezzente, senza neanche un biscotto da dare a quella creatura? Che vergogna! Che vergogna!… Ma io vado lo stesso: voglio vedere il Signore che è venuto a portarci la salvezza, anche se farò la figura della pezzente, o dell’avara, anche se non potrò offrire nulla a quel bambino.
Così continuò la strada e, giunta davanti alla grotta, stette in disparte dietro l’altra gente a guardare. Ora, mentre stava quasi trasognata davanti alla cuna vide che la Madonna stava preparando qualcosa da mangiare a Giuseppe e per condire sollevò un’ampolla d’olio che riconobbe: con certezza era la sua; aveva lo stesso spaghino rosso legato intorno. Mentre stava in ginocchio piena di meraviglia Maria le si rivolse e le disse: Cara, cosa guardi? Grazie dell’olio che mi hai portato: ne avevo proprio bisogno. Ma io… Lo so che l’hai perduto per strada, lo so, ma io l’ho avuto lo stesso. Grazie e vai in pace.
Spesso però il dono che fanno i visitatori della capanna va oltre le loro possibilità, ovvero tale privazione costituisce un grave sacrificio per cui la Vergine, o Giuseppe, o lo stesso Bambino fanno a loro volta un dono di ritorno al visitatore, per cui si può chiamare veramente la notte dei doni.
Il dono del fabbro
C’era in quel di Betlemme un vecchio fabbro che viveva di stenti nella sua bottega che era rimasta vuota. Infatti con l’età, con le mani rattrappite, non essendo più capace nell’arte sua, era rimasto senza lavoro e solo. Per mangiare s’era venduto uno alla volta tutti gli arnesi e campava di quello che trovava un giorno dopo l’altro.
La notte che nacque Gesù vide passare in alto gli angeli e intese i loro canti, per cui si fece sulla strada venendo a sapere che la gente andava verso la grotta. Ci volle andare anche lui, ma cerca cerca nella bottega non trovò che un vecchio bacile di rame tutto ammaccato, l’unico che gli era rimasto. Lo lavò, lo restaurò alla meglio e andò a offrirlo, un po’ vergognoso a Maria la quale lo prese subito e, tolta l’acqua calda dal fuoco, fece il bagno al Bambino.
Il fabbro era felice, ma più ancora lo fu quando Giuseppe gli s’avvicinò dicendo: “Grazie, fratello, ti sia resa la salute alle mani e prendi questo chiodo. Quando sarai tornato a casa seminalo nell’orto e aspetta”. Il fabbro fece come gli era stato detto e là, dove aveva seminato il chiodo, nacque uno strano albero che in tre giorni fece i suoi frutti: c’erano pendenti dai rami tutti gli arnesi nuovi della bottega del fabbro, non ne mancava uno. L’uomo, risanato e con i suoi attrezzi, riprese la sua attività e visse ancora a lungo del suo lavoro.
A volte la devozione si unisce alla leggenda e una realtà naturale nasce dalla volontà soprannaturale, oppure qualcosa si trasforma al contatto col divino. Molte sono le leggende di fondazione che hanno come tempo la Natività, ovvero la Crocifissione. L’amore per il Salvatore trasfigura le piante, gli animali, lascia segni indelebili sul manto delle bestie, sulle piume degli uccelli, guarisce i malati, ridona la pace ai tormentati. Il rifiuto della Salvezza invece degrada, deforma, abbrutisce, segna come a fuoco lasciando per sempre il ricordo di quella colpa. Ma tutto si attua nella forma di un dono: nel caso positivo è un ritorno di un beneficio per la persona e spesso si estende all’umanità come nella profacola che segue.
La vecchina del domani
Una vecchina che si sentiva vicina la fine dei suoi anni, nella Notte Santa andò alla Grotta di Betlemme e, non avendo nulla da offrire, disse alla Vergine che avrebbe fatto una bella cuffietta per il Bambino Gesù.
Tornata a casa prese i ferri, un gomitolo di lana e cominciò a lavorare di buona voglia quando un giorno vide dalla finestra arrivare la Morte. Senza impaurirsi continuò a sferruzzare e quando la Morte entrò e le disse che l’ora era venuta e doveva andare con lei, rispose che quello era il momento e aveva ancora da fare molte cose. Su questo era rimasta d’accordo con la Madonna e perciò la lasciasse in pace finché non avesse finito.
La Morte insisteva, ma la vecchina rispose: “Eh, quanta fretta, quanta fretta! Non mi far venire i nervi! Mica vorrai che lasci a metà la cuffietta per il Bambino Gesù? Poi se s’arrabbia te la vedi tu con la Madonna che me l’ha ordinata e ormai ci conta”.
La Morte non seppe che dire per cui domandò:
“Quanto ti ci vuole a fare questa cuffietta?”.
“Domani ho finito: puoi tornare domani sera. Guarda, fammi un piacere: siccome tu le cose non te le ricordi, non vorrei che stanotte te lo scordassi e ti ripresentassi qui domattina troppo presto a farmi paura. Prendi quel foglio, scrivici sopra bello grande DOMANI, e attaccalo alla porta… sai io non so scrivere”.
La Morte scrisse il foglio, l’attaccò alla porta e se ne andò. Siccome era tempo di morìa e aveva tanto da fare, per un pezzo si dimenticò d’andare dalla vecchietta e insomma passò del tempo prima che si ripresentasse ma, appena si trovò davanti a quell’uscio vide il cartello scritto di suo pugno: DOMANI e disse:
“Ma guarda che stupida: quello l’ho scritto io! E che vengo qui a perder tempo con una faccenda che devo fare domani”.
E così diceva tutte le volte che tornava davanti a quella porta, e continua ad andare e venire, a tornare e ad andarsene via, tanto che la vecchina è ancora là che sferruzza e non si sa quante cuffiette abbia ormai fatto per il Bambino Gesù.
Forse la leggenda più misteriosa e toccante, e anche la più profonda, è quella del dono del lupo, assai diffusa in Italia. Il gesto del lupo che ruba per portare anch’egli qualcosa davanti alla cuna di Cristo sconvolge un po’ la mente portandola a pensare al mistero della malvagità e del male. L’apologo è uno dei più sconcertanti: il nostro giudizio, le nostre sicure leggi si sbriciolano nella luce abbagliante della grotta di Betlemme: la vittima, l’offesa per eccellenza, la sicura e riconosciuta danneggiata entra per un attimo nel mistero della vita: la pecora non può che sciogliere in un compianto il suo giusto risentimento, poiché le intenzioni, i sentimenti del lupo andavano oltre i suoi pensieri e tutto il suo dolore si specchia nel dolore della povera bestia costretta per vivere, perfino per omaggiare il Signore, a rubare, sbranare, dilaniare, in un modo di essere inconciliabile con quello dei più. Ma le parole della logica non bastano per capire l’incomprensibile che si scioglie per un attimo della luce della Natività, per cui è meglio leggere nei veli splendidi della metafora popolare, capace di raggiungere profondità precluse ad altre indagini.
L’offerta del lupo
Quando l’Angelo annunciò ai pastori la buona novella anche la pecora udì e volle andare con tutti gli altri alla grotta di Betlemme. Mentre si stava preparando, dal buio della notte uscì fuori il lupo e in un lampo le portò via l’agnellino natole da appena pochi giorni. La pecora coraggiosamente gli corse dietro, ma non riuscì a raggiungerlo e i belati del suo agnello si allontanarono nell’oscurità e poi svanirono.
La pecora tornò all’ovile: si disperava e si lamentava, mentre tutti erano in festa e nessuno le dava ascolto finché rimase sola, poiché tutti erano andati a trovare il Bambino Gesù.
Vedendo la stella che brillava lontana sulla grotta pensò:- A che serve disperarsi? Il mio agnellino non tornerà più. Il Bambino che è nato stanotte soffrirà il freddo nella grotta, se non vado a portargli un po’ della mia lana.
Così prese la via trotterellando per raggiungere gli altri animali. Arrivata davanti alla Vergine che teneva in collo Gesù, la pecora depose il suo fardellino di lana insieme agli altri doni e si guardò intorno. Dio, che luce c’era dentro quella caverna e come tutti stavano incantati davanti al Signore! Sentì un belato flebile: si volse e vide il suo agnellino che si reggeva appena sulle gambe; accanto c’era il lupo. La Madonna, deposto Gesù nella culla, prese l’agnello e lo ridette alla pecorella, quindi, accennando il lupo, le disse:- Perdonalo. Te l’aveva rubato per offrirlo al Signore perché non aveva altro da dargli, poveretto. La pecora allora, consolando il suo agnellino, gli perdonò e, tornando verso il suo ovile, pensò d’aver capito quella notte che solo il Signore sa cosa c’è nel cuore delle sue creature.
Carlo Lapucci