Il DNA di sant’Amato non è facile ricostruirlo, ma neanche impossibile. Non è facile, poiché di lui possediamo poche notizie, per lo più tardive e frammentarie. L’unico scritto è il suo testamento, e poi sappiamo che è stato penitente, povero e pellegrino. Dunque possediamo dei piccoli frammenti che ci permettono di tentare una sorta di “autopsia spirituale” e di decodificare il DNA della sua santità.
Il primo dato del suo DNA interiore è racchiuso nel suo nome: Amato. Letteralmente e veramente “Amato”, perché generato e battezzato, chiamato alla vita e alla fede. Ecco il segreto della santità: l’amore. Ma un amore ricevuto dal Dio-Amore prima che essere rivolto al Padre per i suoi figli, a cominciare dai più poveri.
Ma questo si può dire di tutti i santi, perché tutti rassomigliano a Gesù, l’Amato dal Padre. Quali sono dunque i fattori originali della santità di Amato Ronconi? Ne declino rapidamente tre.
Il primo è il tratto della penitenza. Questa è una parola esiliata dal nostro vocabolario, perché richiama veglie, aspri digiuni e flagellazioni. Ma al tempo di Francesco d’Assisi e di Amato di Saludecio, questa parola – “penitenza” – veniva intesa in senso evangelico, e significava semplicemente conversione. Non perché il figlio di Bernardone e Amato di Saludecio fossero pagani, ma perché a un certo punto della vita hanno scelto di fare i cristiani: sul serio.
Un secondo tratto è la povertà. Come Francesco, anche Amato ha rinunciato ai suoi beni, si è dedicato ai poveri pellegrini, e per loro ha fondato e costruito un ospizio-ospedale.
Il terzo tratto è stato quello del pellegrinaggio. Rimini, San Marino, Assisi, Roma e, per quattro volte e mezzo, Santiago di Compostella. Il pellegrinaggio è una metafora che identifica in pieno la vita cristiana. Noi non siamo dei vagabondi smemorati che non ricordano più da dove sono partiti e dove stanno andando. Siamo, come Gesù, dei pellegrini diretti alla santa Gerusalemme, per abitare nella casa del Padre, dove non sarà più né lutto, né dolore, né pianto…
Amato: Penitente, Povero, Pellegrino. Cos’altro vogliamo ancora per sentirlo come un santo dei nostri giorni?
mons. Francesco Lambiasi