“Il Dio della vita nella Bibbia”. È stato il tema del primo incontro dei Quaresimali, che quest’anno hanno come tema “È in te la sorgente della vita”. Lo ha condotto don Guido Benzi, direttore dell’Ufficio catechistico nazionale.
Don Guido è partito nella sua riflessione dalla disputa tra Gesù e alcuni esponenti del movimento dei Sadducei sul tema della risurrezione, negata da quest’ultimi.
Dopo un’analisi scritturistica molto puntuale, don Guido si è chiesto se l’origine della vita è un atto posto nella e dalla vita stessa, oppure essa in ogni sua forma attinge a un principio che la precede? E la sua fine, cioè la morte, è il necessario e ineluttabile movimento di sostituzione dei progenitori i quali, proprio nell’atto di dare la vita, farebbero come partire il conto alla rovescia che li conduce alla fine? Oppure essa è per il soggetto un misterioso passaggio che pone il punto interrogativo sul senso e il significato del vivere stesso?
Nel primo caso la vita è ed appare come una lunga catena di generazioni e rigenerazioni saltate l’una all’altra attraverso l’espressione sessuale, che ne scandisce biologicamente la nascita. Questa concezione propria della scienza, non sfugge e non sfuggiva anche nei tempi antichi, alla riflessione filosofica e religiosa, che poneva proprio nella forza riproduttiva dell’eros, nella manifestazione anche sacrale del vigore e della fecondità, una delle leggi che governano il mondo.
Nel secondo caso la vita appare come un mistero, le cui radici affondano, al di là del soggetto stesso che si interroga sul suo vivere, perché non da sé egli si è dato questo esistere che ora lo fa correre felice, ora lo fa incespicare amaro.
Dono o condanna? Speranza o tormento? Il pensiero dell’uomo ha dato varie risposte a questa domanda bifronte, a questo ossimoro dal ritmo incessante come il respiro.
Nella Bibbia, dove certamente e con coraggio si percorre questa ultima via, cioè quella della vita come mistero, le molte risposte trovano tutte espressione, come nell’episodio di Rachele in cui la nascita del figlio Giacobbe, che è morte per la madre, diventa gioia e segno di speranza, non solo per il padre, ma per tutta la storia di Israele.
La Bibbia sa, conosce il dolore dell’uomo di fronte a una vita che appare, nella giovinezza ricolma di speranza e desideri, e invece si manifesta così fragile, così faticosa come afferma il grido di delusione che si leva dal profeta Geremia:“Perché sono uscito dal seno materno per vedere tormento e dolore e per finire i miei giorni nella vergogna?”.
La Bibbia sa e conosce questa domanda di senso che sgorga dal cuore dell’uomo di fronte al non-senso della sofferenza e della morte, e non la evita, non la cancella con argomenti e sofismi, anzi le dà voce e importanza, immergendola nella dignità della parola di Dio.
La disputa con i Sadducei avviene proprio alla vigilia della Pasqua. È esattamente in questo contesto di passione, morte e risurrezione che va inquadrato l’episodio: non si tratta di una discussione accademica, lontana dalla vita.
Ogni cristiano sa che la cifra riassuntiva della sua fede, della sua speranza, della sua salvezza è la croce di Cristo, la quale non è stata un incidente di percorso. Gesù ha scelto fino in fondo di restare dentro questo mistero di morte, di amore e di salvezza, fedele al disegno divino di salvare l’umanità dal di dentro, in un’opera di misericordioso dono di amore.
La morte è stata vinta dal Cristo nella sua propria morte divenuta sorgente di vita. E questa è la speranza che lui consegna a ogni cristiano e che ogni cristiano deve annunciare al mondo.
Se Abramo e Sara, pur apparendo nella loro sterilità ed età avanzata “come morti”, hanno saputo affidarsi alla promessa di Dio nella loro fede e nella loro speranza, così i cristiani in Cristo, nel suo amore, possono affidarsi a una speranza di vita autentica e conformare a questa speranza tutto il loro cammino quotidiano.
Benedetto XVI ci ricorda nella lettera enciclica Spe Salvi: “Noi abbiamo bisogno delle speranze – più piccole o più grandi – che, giorno dopo giorno, ci mantengono in cammino. Ma senza la grande speranza che deve superare tutto il resto, esse non bastano. Questa grande speranza può essere solo Dio che abbraccia l’universo e che può proporci e donarci ciò che da soli non possiamo raggiungere. Proprio l’essere gratificato di un dono fa parte della speranza. Dio è il fondamento della speranza – Dio che possiede un volto umano e che ci ha amati fino alla fine: ogni singolo e l’umanità nel suo insieme. Il suo regno non è un aldilà immaginario, posto in un futuro che non arriva mai; il suo regno è presente là dove Egli è amato e dove il suo amore ci raggiunge. Solo il suo amore ci dà la possibilità di perseverare con ogni sobrietà giorno per giorno, senza perdere lo slancio della speranza, in un mondo che, per sua natura è imperfetto. E il suo amore, allo stesso tempo, è per noi la garanzia che esiste ciò che solo vagamente intuiamo e, tuttavia, nell’intimo aspettiamo: la vita che è veramente vita”.
(sintesi di Letizia Rossi)
Nella foto, don Guido Benzi (al centro), tra i protagonisti a Sant’Agostino (BottegaVideo)