Avete presente il pittoresco porto di Ibiza che dall’altura della rocca scende no al quartiere degli hotel di lusso? Senza scomodare le suggestioni che possono regalare capitali del mare come Miami o Barcellona. Parliamo di città il cui cuore turistico è curato come il giardino di casa. Non si può dire lo stesso di Rimini. Lasciamo da parte per un attimo i quartieri più periferici e concentriamoci su Marina Centro, ovvero quella parte di città che molti turisti credono essere il centro storico di Rimini (dato che facciamo ancora fatica a portarli al Tempio Malatestiano per una oramai secolare cesura tra zona mare e città malatestiana a causa della ferrovia, ma questa è un’altra storia). Ebbene, nelle vie che compongono il centro turistico di Rimini non si sta dietro a contare il numero di hotel in totale stato di abbandono e di degrado (per non parlare delle colonie marine). Prendete il caso del fazzoletto di terra che sta tra piazzale Kennedy, piazzale Marvelli e i binari del treno. In quello spazio le vie prendono il nome delle città della Libia. Ebbene, per uno scherzo del destino, in quei vicoli si ergono relitti urbani che disegnano scorci simili a quelli di alcune vie povere del nord Africa. In un raggio di poche centinaia di metri si contano una quindicina di vecchie pensioni cadute in disuso. Così tante in così poco spazio. Edi ci abbandonati dalle ringhiere arrugginite, dalle super ci scrostate, dagli arredi del passato gettati alla rinfusa nelle proprie aree di pertinenza che paiono quelle di zone terremotate.
Una giungla di case degli orrori alle quali è ancora concesso di affacciare su hotel che con le unghie e con i denti cercano di rimanere a galla e di chiudere la stagione pagando lo stipendio ai propri dipendenti. Qualcosa va fatto, non si può continuare ad offrire questa cartolina del “centro” di Rimini che sorge al di là della stazione. Turisti che dopo la tintarella in spiaggia tornano con le proprie ciabattine a pranzo negli alberghi passeggiando difianco ad architetture degradate mangiate dalle piante rampicanti. Senza contare poi che molte strutture ancora aperte si avvicinano per l’aspetto a quelle chiuse oramai da anni.
Il tema della rigenerazione urbana per Rimini è un imperativo che deve riguardare tutto il tessuto edilizio, specie quello turistico, e non solo i grandi contenitori pubblici e gli spazi comuni. Molti hotel in prima la di recente si sono rifatti il look, aggiornando le proprie camere e le proprie facciate, ma oltre la seconda la, la vetustà degli hotel riminesi si fa sentire tutta.
La questione è complessa. Si tratta di vecchie pensioni a gestione familiare a cui è rimasta scarsa redditività, che si sono piegate con il mutare del modello turistico. Quasi tutte queste strutture ricettive chiuse, qualora anche venissero riaperte, non rispecchierebbero più le esigenze del turista contemporaneo in cerca di molti più confort rispetto al villeggiante degli anni Settanta o Ottanta. La demolizione e ricostruzione risulta nella stragrande maggioranza dei casi la via più semplice.
Con il boom economico e il turismo di massa, la città di Rimini è esplosa. La fascia costiera si è popolata in quegli anni di centinaia di strutture. Chi ha memoria di quei tempi parla di quasi duemila alberghetti che si saturavano all’inverosimile nei mesi più caldi. Oggi nel territorio comunale ne sono rimasti circa un migliaio e le tante chiusure sono rimaste come cicatrici sparse a macchia di leopardo sul volto del litorale. Dagli anni Novanta il proliferare di fallimenti non è stato solo un problema di degrado urbano per la fascia costiera. I repentini cambi di gestione che hanno avuto inizio in quei periodi – non solo di hotel, ma anche di ristoranti, bar e locali notturni – hanno dato man forte al radicamento della criminalità organizzata in Riviera, come dimostrano le varie inchieste giudiziarie degli ultimi anni. Strutture adoperate dai malavitosi come lavatrici per il lavaggio del denaro provenienti da attività illecite, come lo spaccio di stupefacenti, il racket della prostituzione, le bische clandestine e la vendita di merce contra atta.
Secondo la teoria delle nestre rotte dell’Università di Stanford degli anni Sessanta il degrado richiama sempre altro degrado. È una costante oramai nota a tutti gli urbanisti e sociologi. Il danneggiamento di una strada, di un arredo urbano, la sporcizia di un aiuola o rono una giusti cazione all’utente della città per avere meno cura di quegli spazi e contribuire a degradarli ulteriormente. Allontanare il degrado dal cuore economico di Rimini, dunque, non è solo una questione di decoro urbano, ma anche di sicurezza e di legalità.
Mirco Paganelli