Nel 1773 papa Clemente XIV, con la bolla Dominus, decreta lo scioglimento della Compagnia di Gesù. Giovanni Vincenzo Ganganelli (Clemente XIV), nato a Santarcangelo, prima di vestire l’abito francescano a Mondaino, aveva frequentato a Rimini la scuola dei gesuiti, ma questo non era stato sufficiente per metterlo in grado di opporsi alle pressioni delle corti d’Europa, che vedevano nella Compagnia un ostacolo pericoloso verso l’affermazione della sovranità assoluta dello stato.
La decisione di Clemente XIV veniva a destabilizzare il tessuto formativo della diocesi. Il vescovo Castellini cercò di predisporre un nuovo piano per le strutture educative e propose (e ottenne) di trasferire il seminario nel collegio e nella chiesa dei gesuiti, assumendo l’obbligo di tenervi scuole pubbliche “di quelle scienze e facoltà che si insegnavano dai gesuiti”.
Chiesa e collegio (dedicati a san Francesco Saverio) erano stati costruiti da non molti anni, grazie ad un cospicuo lascito di Cesare Galli protonotario apostolico e riminese di origine. La costruzione della chiesa, su progetto dell’architetto Domenico Trifogli, era iniziata nel 1718 e terminata nel 1740; tra il 1740 e il 1755 era stato costruito l’adiacente collegio su progetto del bolognese Alfonso Torreggiani.
Anche in questa sede il seminario rimarrà poco più di vent’anni, perché nel 1796 tutto il complesso di san Francesco Saverio dovrà essere venduto ai domenicani…
Al trauma della soppressione della Compagnia di Gesù, si aggiunge nel 1777 una nuova “umiliazione”: Pio VI (Angelo Braschi, cesenate di origine), sottrae a Rimini i territori di Longiano, Montiano e Gatteo, per aggregarli alla “sua” diocesi di Cesena.
Tuttavia, quando il papa passa per Rimini nel 1782 nel viaggio verso Vienna e di nuovo al ritorno da Vienna, viene accolto con tutti gli onori e gli viene anche eretto un monumento nella chiesa di San Marino. Il monumento, però, è in gesso, “come comporta la povertà del secolo”.
Ad accrescere questa soppressione intervenne nel 1786 un altro rovinoso terremoto, che, anche se non fece molte vittime, colpì gli edifici di tutta la città e di una gran parte della diocesi. Nonostante le contribuzioni dei cardinali Garampi e Banditi, la cattedrale, danneggiata gravemente, dovette rimanere chiusa per più di quattro anni, perché né il capitolo né il vescovo volevano (o potevano) accollarsi le spese del restauro. I cardinali della congregazione del concilio, ai quali i due contendenti si rivolsero, stabilirono che a provvedere ai restauri avrebbe dovuto essere il capitolo, non solo perché questo era quanto prevedevano le costituzioni capitolari, ma anche perché le entrate della “mensa” vescovile erano notevolmente inferiori a quelle del capitolo. Il preposto Bentivegni avrebbe voluto appellare la sentenza, ma otto canonici ritirarono la delega ad agire e la lite venne chiusa.
Il vescovo Vincenzo Ferretti (1779-1806) deciso a “normalizzare” la vita della diocesi, approfittò dell’occasione per affermare l’autorità del vescovo anche sul capitolo, da sempre piuttosto riottoso, ed emanò un decreto che proibiva ai canonici di utilizzare i paramenti riservati al vescovo e imponeva loro di servirlo durante le celebrazioni. Nel tempo, infatti, per placare gli animi di parroci e canonici, critici sul trattamento che veniva riservato alla diocesi, i papi avevano concesso molti riconoscimenti esteriori come il diritto ai parroci e ai canonici di indossare le almuzie di pelle d’agnello (mantelline con cappuccio), ai canonici di indossare rocchetti rossi e cappe prelatizie. Benedetto XIV aveva concesso ai canonici addirittura l’uso della mitria e Clemente XIII a tutti i parroci della diocesi di fregiarsi del titolo di “arciprete”, privilegio che aveva finito per creare confusione con quanti, oltre al titolo, avevano anche la responsabilità di governo.
La stessa preoccupazione di ordine spinse il vescovo a raccogliere gli atti e le memorie antiche della chiesa cattedrale, dispersi in diversi armadi della cancelleria vescovile, nella convinzione che ordinare gli archivi aiutasse non solo a conservare la memoria del passato, ma anche a fornire spiegazioni sul presente e indicazioni per il futuro.
(13 – continua)
Cinzia Montevecchi