Il circo è un mondo sospeso tra sogno e fantasia, un mondo quasi parallelo alle nostre vite indaffarate, dove tutto accade dal vivo, senza interruzioni pubblicitarie. Un mondo strettamente intrecciato alle tradizioni riminesi. L’abbiamo sognato davanti ai film di Charlie Chaplin e di Federico Fellini, l’abbiamo amato nella nostra infanzia quando le parole Stasera si va al circo!ci facevano brillare gli occhi di gioia. Poi abbiamo iniziato piano piano a dimenticarlo. È stato un lento e progressivo distacco: i circhi si sono diradati, sempre meno frequenti, sempre più decentrati rispetto alla città, sempre meno visitati. Travolti dalle proteste animaliste, sfrattati dalle piazze, non riconosciuti come artisti, i circensi italiani hanno via via rinunciato a diffondere l’arte del circo, lasciando il posto ad altre forme di intrattenimento, alle sale giochi, ai cinema, ai video giochi. (Chi volesse saperne di più, può leggere Storia del Circo di Alessandro Serena. Ed. Bruno Mondadori).
Ma qualche circo a Rimini passa ancora.
Stasera si va al circo!
Nostalgici e curiosi, abbiamo approfittato di un caldo sabato sera di fine agosto per visitare il “Royal Circus”, presente a Viserbella fino allo scorso primo settembre. Col suo tendone a punta che si vede da lontano, le luci che ti chiamano dalla strada, la musica di un vecchio carosello a darti il benvenuto, il circo ci invita ad entrare, insieme a diverse decine di famiglie con i bambini per mano. Sotto il tendone l’odore di segatura è pungente. È l’odore inconfondibile del circo. Al centro la tradizionale pista circolare dal pavimento di segatura e dietro, la tenda rossa, il sipario, da cui a minuti usciranno fiumi di meraviglie.
Gli occhi sono puntati tutti laggiù, nell’attesa di vedere i costumi luccicanti degli artisti, la girandola dei numeri che si susseguono senza sosta, lontani dai ritmi calcolati della televisione… Questo è il regno dell’emozione. Genuina. Diretta. Senza artifici. Fatta da persone semplici. Mi fanno sedere in prima fila, lo spettacolo sta per cominciare. Il numero di Sandy la contorsionista mi affascina, è bravissima, il mio sguardo fatica a seguirne i movimenti: mentre mi soffermo sul viso, lo sguardo scivola sui piedi e poi in alto lungo le gambe e giù di nuovo sulle mani. Lei sorride, non pare soffrire neanche un po’. Anzi, è così a suo agio su quella piccola pedana di ferro, rannicchiata sulle braccia e con le gambe attorcigliate intorno al collo, che pare non abbia mai fatto altro! E quando con un balzo si solleva e allarga le braccia, si alza un applauso fragoroso. Ha solo 15 anni e si allena da 7 per 3 ore al giorno. A fare la contorsionista gliel’ha insegnato suo padre, il clown Scarabocchio che a sua volta lo ha imparato dalla madre e dalla sorella. Ogni artista tramanda ai figli o ai nipoti la propria arte in un rinnovarsi continuo sempre in accordo con la tradizione di famiglia: una specie di artigianato circense.
Scarabocchio e Ridolini
Mentre Sandy esce aggraziata di scena e cala il buio in sala, entrano in azione i clown, Scarabocchio e Ridolini. In pochi secondi scatenano le risa dei bambini e conquistano la loro simpatia. Loro si lasciano coinvolgere, si divertono e ridono a voce alta, mentre i genitori filmano la scena e ridono con i figli che sono così buffi! La pista circolare è avvolta nel buio. Appena le luci si sono spente, una squadra di uomini silenziosi è entrata in pista e ora srotola un grande tappeto. Verrà arrotolato e srotolato spesso, di lì alla fine. Neanche due minuti ed ecco che la pista diventa teatro di un numero di ciclismo acrobatico. Due ragazzi in sella a un motociclo fanno dell’equilibrio un’opera d’arte e sono capaci di muoversi in ogni direzione e compiere spettacolari giri di valzer mentre la ruota continua a girare e girare tenendo col fiato sospeso la platea ad ogni cambio di direzione. Il loro sguardo brilla di felicità e di concentrazione. Sarà l’entusiasmo, sarà quella girandola di emozioni sospese tra sogno e realtà, ma tutti gli spettatori del circo sono silenziosi, i più piccoli guardano con la bocca spalancata, completamente rapiti.
Poi, ecco arrivare una giostra di animali esotici. Dopo il corteo dei cavalli bianchi, sfilano dromedari, struzzi, una zebra, un cammello e perfino un grosso e lentissimo ippopotamo. Credo che nessuno sotto il tendone abbia mai visto questi animali dal vivo, a giudicare dal coro di ohhhhh che si alza quando l’addestratore invita l’ippopotamo a spalancare la bocca mostrandogli un ciuffo di lattuga.
Dopo la grande bocca dell’ippopotamo c’è Scarabocchio che strappa risate ai bambini con un semplice palloncino bianco. Lui che fa il clown da 35 anni e ora ne ha 52, il circo ce l’ha nel sangue, nel cuore e nelle mani.
Non è tutto oro quello che riluce
Mentre fa ridere i bambini, la sua storia, i suoi vissuti, il suo cuore è tutto lì a donarsi, ed è contemporaneamente chissà dove, perché “se sei un clown, lo sei nell’anima, non impari ad esserlo. Anche quando sei triste, anche quando hai pensieri, devi far ridere la gente, a questo serve il clown. E devi lasciare tutto il resto tutta la tua vita al di fuori del tendone”.
Non è facile fare il pagliaccio, anche se a vederlo col nasone rosso e la tutona blu, pare tutt’altro! “Fare il circo significa essere schiavi di una passione. Se non ci fosse questa grande passione a nutrirci, nessuno supererebbe gli ostacoli, le fatiche, i pericoli che questo mondo, insieme al pesante tendone trascina con sé!”.
Comincia a delinearsi all’orizzonte il “peso del tendone”. Dalle parole di Scarabocchio trapela un retroscena difficile che parla di stagioni pesanti, pochi visitatori, difficoltà di reperire spazi adatti nelle città, spostamenti continui e rinunce.
“Siamo artisti, viviamo per le luci della ribalta che si accendono e si spengono continuamente, l’emozione convive con il pericolo, con il rischio. E soprattutto passiamo la vita a chiedere il permesso di stare in una piazza, la possibilità di mandare a scuola i figli nelle città che visitiamo, i permessi per la luce, l’acqua… e se piove il terreno diventa fangoso e forse non verrà nessuno a vedere lo spettacolo“.
Già, se piove… Il “Royal Circus” è una realtà consolidata, che si tramanda di padre in figlio da ben 5 generazioni, con una cinquantina di persone a lavorarci, 45 mezzi e un calendario che prevede spettacoli quasi tutti giorni. Eppure i problemi che pare viva il circo italiano arrivano anche qui: basta un temporale violento a mettere a repentaglio lo spettacolo. Ma quando i silenziosi uomini del buio cominciano a montare le impalcature di ferro intorno alla pista, il coro dei bambini alle mie spalle grida: “Arrivano i leoni!”. Il domatore di leoni. Chi non ha mai sognato da piccolo di diventare un giorno un domatore di leoni? È fiero, soddisfatto, con un gesto della mano comunica con leonesse e tigri.
L’ultimo numero è un “mano a mano” eseguito da Davis e Ronny Dell’Acqua, figli del padrone del circo. Un’esibizione emozionante, l’armonia di due corpi, il cui equilibrio perfetto dipende dalla prestanza fisica reciproca: se Davis scivolasse di un solo centimetro, Ronny rischierebbe la vita. Provano questo numero da quando Davis, ora 30enne, aveva 14 anni e Ronny 11. Hanno imparato le tecniche base all’Accademia circense di Cesenatico (ora chiusa) poi si sono perfezionati giorno dopo giorno all’interno della famiglia del circo.
“Il segreto della nostra arte è un allenamento continuo, una ricerca costante di miglioramento. Facciamo continuamente i conti con il pericolo. L’arma migliore per sconfiggere le nostre paure è la concentrazione: anche se eseguiamo lo stesso numero da 10 anni e ormai possiamo dire di conoscerlo, il minuto prima di entrare in pista è sempre lo stesso: massima tensione e massima concentrazione. Ma quando la gente applaude, quella è la nostra massima soddisfazione!“.
Romina Balducci