Il dato è sconvolgente. Secondo Confcommercio, negli ultimi dieci anni, ben 62mila negozi hanno abbassato le serrande lasciando vuoti i centri storici. Da Bolzano a Siracusa passando per Roma, nessuno si salva. Tasse alte, adempimenti asfissianti, affitti che strozzano, centri commerciali e outlet che fanno concorrenza e l’e-commerce che ha stravolto il modo di acquistare. Risultato, in cassa entra poco o nulla. A volte neppure lo stretto necessario per non andare in rosso. E allora la soluzione è solo una: chiudere tutto. Game over. Addio. È stato bello finché è durato.
La situazione riminese
Una situazione che, purtroppo, ha travolto anche Rimini. Chi fa una “vasca” in centro non può non rendersi conto di quanti cartelli con su scritto vendesi o affittasi sono appiccicati alle serrande o alle vetrine. Decine. Negozi storici, soprattutto di abbigliamento, costretti a salutare i loro clienti di una vita. Gli ultimi casi sono stati in via Mentana e in via Cairoli. Boutique che lasciano spazio a bar o ad attività che durano al massimo un anno, un anno e mezzo. Griffe di grido come “Armani”, in piazza Tre Martiri, che hanno lasciato prima a un negozio che vendeva cover di telefonini durato un battito di ciglia e ora sostituito con un’attività di cosmesi. Senza parlare di via Sigismondo dove il valzer delle vetrine è continuo.
In 5 anni chiuse 600 attività
“Negli ultimi cinque anni, in provincia di Rimini, hanno chiuso mediamente 120 attività all’anno che, se la matematica non è un’opinione, significa che in un lustro sono venuti meno 600 negozi. – sottolinea Gianmaria Zanzini, numero uno di FederModa – Molte di queste attività erano concentrate nei vari centri storici che stanno subendo una vera e propria desertificazione. E badate bene, non è un affare solo dei commercianti. I negozi, soprattutto le piccole botteghe, fanno parte del panorama e dell’identità delle nostre città. Senza le insegne illuminate, senza le vetrine che ci distraggono e ci accompagnano, si spengono le luci e anche la vita delle strade. Che diventano semplici luoghi di passaggio. Non solo: i negozi sono un presidio che assicura la cura e la pulizia delle vie. Sono, soprattutto, un fondamentale luogo di incontro. Per parlare, scambiare non solo merci, ma anche notizie sulla vita del quartiere e dei suoi abitanti. Sono un conforto, una compagnia per chi vive in solitudine”.
Secondo Zanzini la colpa non è di un solo fattore.
“È vero, le tasse sono sempre più alte, gli affitti aumentano di anno in anno raggiungendo, soprattutto in centro, cifre davvero ragguardevoli, ma le cause non sono solo queste. Pensiamo alle banche, per esempio: non finanziano più le attività. Hanno paura. Ma così si blocca tutto. Senza parlare dei vari centri commerciali e dei grandi outelt. Ma voi lo sapete che c’è una normativa che costringe questi grandi spazi a vendere abbigliamento dell’anno precedente oppure merce fallata? Provate ad andarci se non ci avete mai messo piede dentro, poi ne riparliamo. E vogliamo dire qualcosa sul fatto che questi grandi spazi hanno parcheggi gratuiti a disposizione dei loro clienti? No, perché le cose occorre dirle tutte. Sia chiaro, io non voglio demonizzare nulla e nessuno, voglio solo far capire che i centri storici non possono essere abbandonati”.
Le soluzioni
E le soluzioni, per Zanzini, ci sarebbero.
“La soluzione non può che arrivare dalla politica, tramite un tavolo di confronto tra Amministrazione, associazioni di categoria ed esercenti a cui facciano seguito importanti interventi normativi. Ad esempio, ad Asti il Comune è intervenuto abbassando il costo delle imposte chiedendo, però, al negoziante di pagare due anni di anticipo al locatario. Occorrerebbe formulare, inoltre, facilitazioni per chi investe in qualità dei prodotti e dei servizi, creando una ricaduta positiva sulla vita sociale ed economica della città. Perché diaciamocelo francamente, troppi negozi vengono sostituiti da minimarket, internet point e money transfer che dovrebbero essere situati nelle zone di minor pregio del tessuto urbano. Senza tenere conto del fatto che queste attività magari stanno aperte uno, massimo due anni. Anche in questo caso occorrerebbe da parte del Comune un’attenzione particolare. Permettetemi un’ultima sottolineatura: un grazie alle nostre associazioni di categoria perché senza di loro saremmo soli contro tutti”.
Francesco Barone