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Il cavallo non scalpita

La battaglia di Legnano - PH Roberto Ricci

Al Teatro Regio di Parma La battaglia di Legnano in una nuova produzione del ventiquattresimo Festival Verdi

PARMA, 20 ottobre 2024 – Cavalli ovunque. Nelle diapositive di celebri dipinti proiettati sulla scena; nel suggestivo filmato che scorre all’inizio e rimanda inequivocabilmente alla prima guerra mondiale; in palcoscenico con varie posture, progettati da Margherita Palli e del tutto simili al vero. Nelle intenzioni della regista Valentina Carrasco sono il simbolo devastante di ogni combattimento, vittime senza colpa di qualcuno che non si preoccupa degli effetti collaterali di battaglie cruente e spesso insensate. La sua, insomma, è un’esplicita condanna della guerra, fatta anche attraverso due citazioni cinematografiche: la carrozzina che sfugge di mano, come accade nella drammatica sequenza della Corazzata Potëmkin, e la testa mozzata di un cavallo, che rimanda al Padrino.

Il soprano Marina Rebeka (Lida) – PH Roberto Ricci

Il nuovo allestimento della Battaglia di Legnano, realizzato al Teatro Regio di Parma per il ventiquattresimo Verdi Festival, nel suo insieme si presenta spoglio, anche se le sapienti luci di Marco Filibeck orientano l’attenzione su pochi e significativi dettagli. I costumi di Silvia Aymonino spostano progressivamente l’azione attraverso i secoli (con guerrieri che sembrano appartenere a tante epoche successive), dalla fine del trecento fino ad arrivare agli inizi del secolo scorso. La sobrietà visiva ha il vantaggio, soprattutto, di favorire la concentrazione sulla musica, tanto più che si tratta di un’opera poco familiare al pubblico.

Il libretto di Cammarano, nato sull’onda delle Cinque Giornate di Milano, e dove la vicenda politica s’intreccia con quella sentimentale, è intriso di significati patriottici: uno spirito che certamente aveva contagiato pure Verdi, tanto che La battaglia di Legnano viene considerata come la sua opera risorgimentale per antonomasia. Per il compositore, tuttavia, l’esigenza più viva, e prevalente, è il desiderio di sperimentare inedite forme drammatiche. Già residente a Parigi e in carriera da almeno dieci anni (la prima fu a Roma nel 1849) , Verdi ne cura dunque attentamente l’orchestrazione, introducendovi numerose novità, sempre finalizzate a precisi intenti espressivi. Spetterebbe quindi all’esecuzione evidenziarle e valorizzarle.

Alla guida dell’Orchestra e del Coro (preparato da Gea Garatti Ansini) del Teatro Comunale di Bologna, il giovanissimo Diego Ceretta ha dato prova di apprezzabile sicurezza attraverso una concertazione corretta, che punta soprattutto a sottolineare i momenti più lirici e ad esaltare raffinate sonorità. La sua lettura è apparsa più attenta a individuare quelle anticipazioni di pagine che in futuro diverranno celebri, a cominciare inevitabilmente dalla ‘Trilogia popolare’, ed è invece meno interessata a cogliere i particolari innovativi annidati nella partitura. Fortunatamente gli vengono in soccorso gli interpreti: almeno due componenti del cast – soprano e baritono – perfettamente consapevoli delle novità verdiane e in grado di valorizzarle attraverso il loro canto.

Vera trionfatrice dello spettacolo, l’espressiva Marina Rebeka ha impresso accenti accorati al tormentato personaggio di Lida, combattuto tra l’amore per Arrigo e i doveri familiari verso marito e figlio. Sempre precisa e sicura nelle ascese in acuto così come nelle agilità e nei momenti più intensamente lirici, il soprano lettone ha saputo trascolorare verso accenti ora angosciati e dolenti, ora patetici e accorati. Nei panni di Arrigo, il valoroso guerriero da lei amato e creduto morto, il tenore Antonio Poli ha messo in evidenza un limpido colore vocale, anche se è apparso più preoccupato di raggiungere le singole note che trasmettere i sentimenti  del personaggio. Rolando, il marito di Lida, era interpretato da Vladimir Stoyanov, veterano di tante figure baritonali verdiane. La voce forse mostra qualche segno di usura, compensata però dalla morbidezza del fraseggio e dall’eleganza degli accenti. Fra i numerosi comprimari Verdi attribuisce il maggior spessore ai due ruoli da vilain: il basso Riccardo Fassi ha delineato un Federico Barbarossa alquanto monolitico, mentre il baritono Alessio Verna ha tratteggiato con efficacia la malvagità insinuante del prigioniero tedesco Marcovaldo. Non troppo a fuoco i comprimari, tutti allievi attuali o passati dell’Accademia Verdiana.

L’ascolto di quest’opera – popolare per la sinfonia e i cori, ma di rara esecuzione – lascia comunque soddisfatti. Il Verdi cosiddetto minore è sempre in grado di riservare piacevoli sorprese.