Nella liturgia Dio parla al suo popolo e il popolo a sua volta risponde a Dio con il canto e con la preghiera» (SC 33) ; e il primo canto con cui l’assemblea eucaristica risponde a Dio è il Canto d’ingresso, elemento che caratterizza il Rito iniziale dell’Introito (v. Catechesi a8).
Con esso si compie la prima armonia dei segni liturgici, perché la musica e il canto si intrecciano con il linguaggio del corpo che si alza, con i colori delle vesti liturgiche, il profumo dell’incenso e l’eloquenza dei simboli che caratterizzano la processione d’ingresso: il sacerdote che celebra in Persona Christi, la croce, il pastorale del vescovo, l’evangeliario e l’altare verso cui confluisce lo sguardo di tutti i celebranti.
La funzione del Canto d’ingresso è molteplice. Anzi tutto, dà inizio alla celebrazione e il fatto che sia cantato da tutti (sacerdote, ministri e fedeli) fa comprendere che essa è iniziata da tutti e, quindi, che tutti celebrano l’Eucaristia, seppur in modo e con compiti diversi. In secondo luogo, questo Canto favorisce l’unione dei fedeli riuniti, perché cantando a una sola voce, si prende coscienza che si è un corpo solo: il Corpo di Cristo, presente tra coloro che si riuniscono nel suo Nome (Mt 18,20); in altre parole, è il momento in cui la Chiesa-Sposa risponde all’unisono «Eccomi!» alla convocatio di Dio e all’arrivo dello Sposo che, nella persona del sacerdote, fa il suo ingresso al banchetto nuziale. Infatti, la terza funzione di questo Canto è quella di introdurre il cuore dei fedeli nel mistero del tempo liturgico (per esempio Natale o Pasqua) o della festività (per esempio la Trasfigurazione o l’Assunzione di Maria al Cielo), così come le dieci vergini del Vangelo (Mt 25) sono invitate ad entrare alla festa nuziale all’arrivo dello Sposo. Questo invito non può che trasformarsi in canto di gratitudine, di amore e di gioia che accompagna la processione del sacerdote e dei ministri (quarta ed ultima funzione); scrive al proposito san Giovanni Crisostomo: «Dopo che il salmo è incominciato, tutte le voci si uniscono formando un coro armonioso. Giovani e vecchi, ricchi e poveri, donne e uomini, schiavi e liberi, tutti prendiamo parte alla melodia. Nel palazzo dei re, tutti stanno in silenzio…, ma qui, tutti noi cantiamo!».
È importante però sottolineare che il canto liturgico, anche se fatto per accompagnare, non è mai qualcosa che si “aggiunge” alla liturgia, né eseguito per “riempire” le pause di silenzio, né tantomeno per solennizzare una messa feriale, ma, «unito alle parole, è parte necessaria ed integrante della liturgia» (SC 112), poiché non si prega solo “parlando”, ma anche “cantando”; anzi, «Chi canta bene, prega due volte!» (sant’Agostino).
Una volta comprese le finalità del Canto d’ingresso si possono allora capire meglio anche i suoi contenuti (musica e parole), le modalità di esecuzione, il suo inizio e termine.
Se questo canto è il Canto che sorge sulle labbra della Sposa all’arrivo dello Sposo, le sue parole non possono essere altre che quelle che lo Sposo le pone sulle labbra, per cui il canto liturgico (o sacro) è quello che “canta” i testi della Scrittura o della liturgia (SC 121); tutti gli altri sono canti religiosi, popolari, che sorgono dall’esperienza religiosa dei singoli o delle comunità, ma che non esprimono adeguatamente ciò che il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo stanno compiendo nell’azione liturgica (che – ricordiamo – è azione principalmente divina!); da qui, la scelta della Chiesa, fin dall’antichità, di privilegiare i canti dei Salmi (o tratti da essi) e quelli che esprimono «l’azione liturgica, il carattere del giorno o del tempo»; inoltre, oggi si richiede l’esplicita approvazione dei vescovi (Conferenza Episcopale Italiana), i legittimi custodi della fede.
Se il Canto d’ingresso riflette il primissimo dialogo tra lo Sposo e la Sposa, la modalità di esecuzione che meglio esprime questo dialogo è la forma responsoriale, per cui è sempre costituito da un’antifona che si ripete ad ogni strofa (preferibilmente di un salmo, come è riportato nel Graduale romano). Anticamente vi era solo la recita dell’antifona e il Canto d’ingresso apparve solo nel V sec., a Roma, per accompagnare il lungo introito del Papa, per cui oggi la Chiesa latina adotta sia il canto, sia la sola recita dell’antifona.
Inoltre, anche la musica deve essere sacra (e non solo religiosa) e quindi adatta al tempo liturgico o alla festa che si sta celebrando (un lamento a Pasqua o un allegro in Quaresima sarebbero fuori luogo!);
che offra alla preghiera un’espressione più soave e che favorisca l’unanimità (per cui deve essere cantabile da tutti, almeno l’antifona) (SC 112).
Infine, se il Canto d’ingresso nasce sulle labbra della Sposa alla vista dello Sposo va da sé che deve iniziare quando arriva lo Sposo (e non prima!) e terminare quando Egli ha preso posto al banchetto nuziale, cioè alla sede della presidenza (di cui diremo nelle prossime catechesi).
Veniamo ora all’applicazione pratica. Immaginiamo che venga a trovarci a casa il Dalai Lama: suona il campanello, gli apriamo la porta e, fissandolo in volto, riusciamo a farfugliare solo qualche parola tra i denti mentre lo accompagniamo in salotto: una volta seduto, cosa ci direbbe?
Elisabetta Casadei
* Queste catechesi liturgiche si tengono ogni domenica in Cattedrale alle 10.50 (prima della Messa)