Nata quasi come parrocchia di periferia una cinquantina di anni fa (1961), oggi San Raffaele si trova in piena città, in una zona che in mezzo secolo ha più che raddoppiato la sua popolazione, passando dai 2500 abitanti di allora ai 5500 di oggi.
Del resto quei giovani genitori, che allora popolavano l’INA Casa, sono cresciuti di grado, diventando nonni e bisnonni e ampliando così la città con le nuove case per figli e i nipoti.
“Nella parrocchia di San Raffaele – spiega meglio il parroco don Giuseppe Bilancioni – prevale un tessuto sociale di persone grandi di età. Il quartiere che la segna maggiormente è l’INA Casa, attualmente abitato da numerosi anziani. Quello che cinquant’anni fa ha rappresentato un insediamento di avanguardia, brulicante di bambini (c’erano ben due scuole materne) e pieno di vita, si è spopolato con la migrazione dei figli. Ora alcune delle capienti abitazioni sono vuote e non poche sono occupate da famiglie mononucleari (costituite per lo più da vedove)”.
Don Giuseppe è il terzo parroco di questa parrocchia che ancora possiamo definire giovane, dopo don Andrea Baiocchi e don Sergio Della Valle. Don Giuseppe è anche Vicario Urbano.
“Veramente, dal punto di vista strettamente formale e giuridico, il primo parroco è stato don Vittorio Maresi al momento dell’erezione canonica della nuova parrocchia, ma chi poi ha incominciato il lavoro pastorale e di costruzione materiale delle strutture è stato don Andrea. Allora la parrocchia comprendeva anche il territorio dei Padulli e quando la popolazione è aumentata gli è stato mandato in aiuto don Sergio. Poi don Andrea è diventato Economo generale della Diocesi e don Sergio gli è succeduto nel compito di parroco”.
E dopo la morte prematura di don Sergio è toccato a te scendere da Sogliano e prendere le redini di questa grande comunità. Come ti trovi e come hai trovato San Raffaele?
“Io mi trovo decisamente bene e mi pare che anche la gente mi abbia accolto bene. Tentando una sintesi descrittiva, posso dire che il clima spirituale è quello di una comunità che cerca di crescere nella comunione, dove gli operatori pastorali, circa duecento, oltre a impegnarsi personalmente e comunitariamente in questo tipo di crescita, svolgono un ruolo di aiuto e di sostegno in tutto il lavoro pastorale. Possiamo trovare conferma della validità di questo cammino nelle persone che in vario modo si avvicinano alla parrocchia”.
Ma perché la gente si avvicini alla parrocchia ci vogliono delle occasioni, delle provocazioni …
“Lo strumento di aggancio, che può essere la catechesi, o il percorso educativo dei figli, o le attività manuali e le feste, o anche l’attenzione agli anziani e ai malati, diventa secondario rispetto all’accoglienza, alla disponibilità al servizio, all’umiltà, allo spirito di comunione che caratterizza chi è più presente. Certo, al lavoro degli operatori pastorali gioverebbe grandemente una formazione più continua e appropriata e una nuova fioritura ministeriale, ma si riesce comunque a creare un clima di attenzione e accoglienza che apre le porte a chi si affaccia in parrocchia per qualche necessità o anche per curiosità”.
Proviamo a esemplificare con qualche attività che vi caratterizza.
“Diciamo che la dimensione missionaria ed evangelizzatrice fa da sfondo a ogni programmazione o iniziativa pastorale. Se vuoi, posso evidenziare una serie di proposte e iniziative anche se prive di organicità e coordinamento programmato. Alcune hanno trovato nel tempo una loro autonomia e continuità. Per esempio la benedizione alle famiglie (abolita la “visita pasquale” e la “aspersione dei locali”) viene fatta nell’arco di due anni, per raggiungere il maggior numero di residenti, dedicando tempo e calma all’incontro con le persone. L’incontro personale è diventato più volte occasione per avanzare proposte di collaborazione a chi non appartiene alla stretta cerchia parrocchiale, con risultati anche favorevoli.
Più regolari sono i centri di ascolto del Vangelo che contano oltre 15 anni di esperienza; nel tempo sono diminuiti di numero (attualmente sono cinque), e per lo più raccolgono persone anziane, già legate alla fede. Mentre per i presenti la validità dell’esperienza è indubbiamente forte, l’impatto missionario sul territorio sembra minimo”.
Penso che uno dei pilastri per l’impegno missionario e di evangelizzazione sia anche per voi la catechesi.
“Negli ultimi anni abbiamo sperimentato nuove forme di catechesi rivolte ai genitori dei gruppi dell’Iniziazione Cristiana. Il livello di partecipazione è soddisfacente ma alterno; l’esperienza è gradita, percepita come un importante e utile approccio di recupero o di nuovo impatto con la fede. Però la presenza sistematica agli incontri è problematica. La durata oltre le tappe sacramentali dei figli, estremamente complicata. Comunque un risultato è piuttosto chiaro: ogni anno alcuni genitori recuperano una partecipazione più assidua alla pastorale, anche come operatori.
Qui un cenno a parte merita la catechesi battesimale: giovane esperienza condotta da sei coppie guidate dall’intento di creare rapporti ricchi e caldi con le famiglie dei battezzandi, visitandole e accogliendole senza preclusione di sorta”.
Naturalmente ci sarà poi il grande impegno per la catechesi di Iniziazione cristiana coi bambini.
“Come in tutte le parrocchie, del resto. Da decenni viene curata con l’intento di rispondere ai cambiamenti culturali e alle difficoltà di un ambito familiare soggetto a continue modificazioni: famiglie in difficoltà, separazioni, bambini con problemi di inserimento e di relazione … In breve, si avverte come insufficiente la sola pastorale di sacramentalizzazione. Vi sono coinvolti attivamente circa ottanta operatori pastorali, che preparano e impostano collegialmente un lavoro che non si limita agli incontri in aula, ma spazia in tutte le dimensioni della vita parrocchiale, condividendo momenti liturgici, caritativi e associativi dell’intera comunità”.
E dopo il tempo dell’Iniziazione cristiana riesce la parrocchia ad agganciare anche i giovani?
“Guardandoci attorno, possiamo dirci moderatamente soddisfatti. I diversi gruppi giovanili presenti, storicamente solidi perché guidati da giovani/adulti capaci, impegnati e intraprendenti, e soprattutto ricchi di umanità e di vita spirituale, sono una fondamentale base di partenza per la cura dell’intera pastorale giovanile”.
Riguardo alle famiglie, coinvolte dal catechismo dei figli o in preparazione al battesimo, qualcosa mi hai già detto. Ma rimane ancora una larga fascia di adulti che potrebbero rimanere esclusi da qualsiasi iniziativa.
“Esiste anche una pastorale familiare, o più in generale degli adulti, indipendentemente dalle circostanze della vita. Oggi esistono due gruppi famiglia e un terzo è in fase di costituzione. Questo terzo gruppo è la diretta conseguenza della nascita dei catechisti battesimali, costituiti da coppie che si sono rese disponibili a offrire un’ulteriore possibilità di accompagnamento alle famiglie che richiedono il battesimo. Negli anni è venuto meno l’itinerario specifico per fidanzati. Attualmente la nostra attenzione è rivolta soprattutto alla loro formazione all’interno dei corsi in preparazione al matrimonio. Si tratta di un lavoro di zona e mostra tutte le difficoltà legate alla pastorale vocazionale in genere. Preziosa si sta rivelando la Pastorale degli Anziani, attiva da dieci anni con particolare sistematicità, capace di coinvolgere direttamente numerosi anziani e di interagire con le famiglie attorno ad aspetti collegati all’età avanzata, con annesse esigenze e patologie particolari”.
Avviandoci alla conclusione della nostra chiacchierata, dopo le decisioni prese nel giugno scorso da tutta la Diocesi, non può mancare una domanda sulla pastorale integrata. È possibile un lavoro di integrazione anche fra grandi parrocchie?
“Nell’insieme, mi pare di dover rilevare una stasi nel lavoro di zona rispetto alle esperienze dei primi tempi. Il Consiglio Pastorale di San Raffaele è sensibile alla proposta e ha dedicato non poco lavoro a riflettere sullo spirito e sul valore della ricerca di unità tra parrocchie limitrofe e sulle possibili modalità di realizzazione di una progettualità comune, pur a largo respiro. Ma insieme alla disponibilità dobbiamo mettere in conto la lontananza psicologica della nostra gente: non è un progetto sentito … Ancora più forte è la fatica di staccarsi dalla prassi di comunità attive e ben costituite, che hanno tradizioni importanti, spesso costruite con sudore, e dalle quali sono nati rapporti personali radicati. Da questo punto di vista, forse la nostra comunità, la più giovane delle tre, è la meno svantaggiata”.
San Raffaele, la prima parrocchia del Vicariato Urbano che si prepara alla Visita Pastorale. La prima parrocchia dell’ultima tappa.
Egidio Brigliadori