I maestri e il tempo 2016 – Pittore senza patria, bistrattato dai suoi contemporanei ed emarginato dalle committenze religiose. Guido Cagnacci, nato a Santarcangelo agli inizi del XVII secolo, vive la sua attività artistica, come esule randagio dalle città della Romagna alla Serenissima fino a Vienna. A svelarci gli arcani di una storia, a metà tra romanzo rosa e moderno poliziesco, è Pier Giorgio Pasini, noto storico dell’arte riminese, nella sua lectio magistralis “Le donne del Cagnacci”, primo di nove incontri dal tema “Racconti di donna: simboli, radici, destini”, oggetto di studio della VI edizione del ciclo “I maestri e il tempo” a cura di Alessandro Giovanardi , per la Fondazione Cassa di Risparmio di Rimini, che per l’occasione ha esposto al pubblico il San Giovannino del Cagnacci, acquistato nel 2003.
Cagnacci inizia ad operare come artista a Rimini e dintorni nella prima metà del Seicento. “È una Rimini nella quale si respira la stessa atmosfera dei Promessi Sposi di Alessandro Manzoni”, spiega Pasini. La cinta muraria cinge una città all’epoca di 7.717 abitanti, tra i quali spiccano le famiglie nobiliari con i loro “bravi”, come quelli del Don Rodrigo del romanzo scritto per i venticinque lettori. È una nobiltà che si vuole mantenere pura e non vuole assolutamente condividere con la plebe i suoi privilegi.
Le prime opere a soggetto sacro
Cagnacci inizia ad operare lavorando per la Confraternita del Santissimo sacramento, realizzando il dipinto Processione del Santissimo Sacramento (1627), per commemorare la processione svoltasi a Saludecio in occasione del passaggio del papa Giulio II. La realizzazione di questa opera sacra, nella quale traspare “il realismo”, commenta Pasini, che al Cagnacci ha dedicato il volume Guido Cagnacci (ed. Luisè, 1986), apre la strada al pittore che verrà interpellato dalla confraternita dei Santi carmelitani, dipingendo la pala con Gesù bambino, S. Giuseppe e S. Egidio (1635), conservata ancora oggi nella Collegiata di Santarcangelo.
Il cambiamento di rotta
Dagli anni ’40 circa del 600, i soggetti delle sue opere saranno sempre meno ascrivibili a soggetti di arte sacra: figure femminili in forma di allegorie sacre e profane, o in vesti di Maddalene, Lucrezie, Cleopatre, Europe, si staglieranno sulle tele dei suoi dipinti. Il Cagnacci, che erroneamente secondo le fonti del ‘700 aveva questo cognome per “essere uomo obesso, barbuto e tozzo”, sarà difficilmente contattato dalle confraternite per produrre dipinti e tele di arte sacra. In altri termini il pittore “esce dal giro” e inizia un’attività artistica indirizzata quasi esclusivamente per privati amatori. Da qui nascono La morte di Cleopatra e La allegoria dell’astrologia sferica, che generano scalpore nei contemporanei e nella critica successiva.
Perché il Cagnacci viene emarginato?
La risposta si colora di rosa. Teodora Stivivi, una nobile riminese che aveva sposato Battaglino Battaglini, un nobile riminese. La donna, rimasta vedova, dopo solo tre anni di matrimonio, si innamora del Cagnacci, che presumibilmente lavorava in una delle stanze del Palazzo Battaglini, là dove oggi c’è la Questura riminese. È un amore impossibile quello tra la Teodora e il Cagnacci: lei nobile non può sposare un uomo che non vanta la stessa condizione sociale. I due allora, come raccontano le fonti, lette al pubblico di Palazzo Buonadrata, da Barbara Pecci, ricercati dai bravi dei signori Stivivi e Battaglini, in fretta e furia, contraggono un matrimonio, redigendo una dichiarazione scritta, alla presenza di testimoni. Tentano di scappare, ma i cavalli da Santarcangelo non arrivano a causa di un brutto temporale. Teodora chiusa nel borgo di S. Giovanni viene catturata dalla guardia vescovile e chiusa nel convento delle Convertite in Piazza Ferrari. Il Cagnacci, costretto all’esilio ed allontanato da Rimini si rifugia a Santarcangelo, nella speranza di rivedere l’amata Teodora, di riprendere la dote che gli spetta per regolare contratto matrimoniale e di dipingere per confraternite e committenze ecclesiastiche, le sole che, secondo i dettami dell’epoca, gli potrebbero garantire fama e successo. Ma il destino gli sarà avverso. Chiamato a Forlì per decorare la cappella dei fabbricieri della Madonna del fuoco, è costretto ad andarsene anche da lì perché si diffonde la voce che avesse insediato una nobildonna riminese. Inseguito non solo dai bravi degli Stivivi e dei Battaglini, ma ora anche da quelli dei Ricciardelli, dal momento che la bella Teodora era stata costretta, una volta uscita dal convento a sposare uno della suddetta famiglia, il Cagnacci si rifugia a Cesena, Faenza e Venezia, per approdare a Vienna dove troverà la morte nel 1663.
Le donne, che tanto resero inquieta la sua esistenza, lo fanno cadere nel dimenticatoio per poi tornare alla luce con gli studi di Pasini che al pittore e alla sue donne ha dedicato la monografia del 1993 Le donne del Cagnacci.
Sara Castellani
I maestri e il tempo 2016 – Il Comunicato del Comune di Rimini – http://www.comune.rimini.it/archivio-notizie/i-maestri-del-tempo-2016-racconti-di-donna-simboli-radici-destini