C’è un proverbio cinese che recita: «Quando soffia forte il vento del cambiamento, alcuni costruiscono muri, altri – più saggi – mulini a vento». La ventata di… Spirito Santo portata da Papa Francesco, sulla scia dei suoi grandi maestri e predecessori, spira forte. Il vento della «Chiesa in uscita», della Chiesa «ospedale da campo», della Chiesa che sbriciola muri e lancia ponti, ed è guidata da pastori «con l’odore delle pecore». Un vento che riguarda tutto l’agire della Chiesa, compresa la situazione economica. Anche su questo aspetto, la Diocesi di Rimini ha scelto la trasparenza e la chiarezza, cercando di essere il più possibile comprensibile e fluida, per fornire una informazione sufficiente a tutti, evitando eventuali “cortocircuiti” e malintesi.
In tempo di bilanci, qual è la situazione della Diocesi? Sgombrando il campo da illazioni e sospetti, quali conti oggi la Chiesa riminese può proporre? parliamo con l’economo della Diocesi, don Danilo Manduchi.
“La situazione debitoria della Diocesi è più che sotto controllo. Lo stesso Vescovo Francesco l’ha immediatamente presa in mano con decisione, la segue costantemente, e la sta portando a soluzione. Una soluzione che richiede tempi un po’ lunghi ma proprio per questo realistica e incisiva”.
Si parla dunque di debiti.
“Per capire bene la situazione occorre fare un po’ di storia. Negli anni precedenti la crisi economica (diciamo fino al 2010) che ha investito la società italiana nel suo complesso, la Diocesi di Rimini ha fatto importanti investimenti volti a valorizzare alcuni beni che possedeva (i due seminari, alcune grandi realtà parrocchiali in crescita come Bordonchio e Villa Verucchio, il settore della comunicazione, quello della cultura teologica e non, il raddoppio della sede Caritas, il Punto Giovani di Riccione, ecc.).
Scelte importanti, sotto tutti i punti di vista. Investimenti che hanno portato la Diocesi ad avere oggi più di 100 milioni di patrimonio. Nel 2015 la Diocesi ha pubblicato un libro che documenta restauri e nuove costruzioni.
Naturalmente questi investimenti avevano una copertura economica che proveniva soprattutto da alienazioni di immobili non più necessari alla vita della Chiesa riminese.
Invece queste cessioni sono avvenute a rilento e portando risorse inferiori rispetto alle aspettative a causa della crisi economica e della conseguente caduta vertiginosa del mercato immobiliare.
Nel luglio del 2013 perciò siamo dovuti ricorrere al credito bancario dovendo far fronte agli impegni presi con gli investimenti.
In questo frangente ci siamo trovati nel massimo della nostra esposizione debitoria pari a circa 34 milioni di euro.
A questo punto ci siamo attivati per elaborare un preciso piano di rientro, che ha ricevuto l’approvazione anche della Congregazione per il Clero della Santa Sede e quello dell’economato della Cei. Ancora oggi è in fase di realizzazione”.
Quali passaggi concreti prevede questo piano? Cosa comporta?
“Il piano si muove su tre linee. La prima riguarda la contrazione dei costi per arrivare ogni anno a poter contare su un avanzo di almeno 1 milione di euro. È all’interno di questa voce che siamo stati costretti a cessare o a cedere quelle attività che perdevano ogni anno somme ingenti, troppo ingenti per l’attuale situazione (Pagina, Ariminum, ecc.) oppure a ridurre il contributo che come Diocesi ogni anno doniamo alle attività culturali (ad esempio l’Istituto Superiore di Scienze Religiose).
La seconda strada intrapresa è la prosecuzione delle alienazioni previste per la copertura degli investimenti.
In terzo luogo, il piano prevede la ristrutturazione dei mutui e fidi bancari.
A dimostrazione che il piano di rientro funziona è il fatto che dal 2013 al 2016 il nostro indebitamento bancario globale è sceso da 34 a 23 milioni di euro circa (dati ufficiali della Centrale dei Rischi di Banca d’Italia al 23 novembre 2016), con una diminuzione di oltre il 30%”.
La situazione debitoria si va via via alleggerendo. Ma l’attenzione resta alta perché il problema è affrontato ma non risolto.
“Proseguiremo dunque il piano di rientro fino al 2023. A quel punto dovremmo essere scesi a un indebitamento di 10/12 milioni al massimo, base di partenza per un nuovo piano di rientro per andare all’obiettivo «zero»”.
Amministrazione oculata, piano di contenimento dei costi e buona negoziazione bancaria. Questo, dunque, il lavoro che avete intrapreso. Ma che ripercussioni può avere sulla vita ordinaria della Diocesi e delle parrocchie?
“Queste scelte necessarie le stiamo comunque compiendo e portando avanti «da cristiani». Cioè avendo le seguenti attenzioni:
avere a cuore prima di tutto il bene sommo delle persone, facendo tutto il possibile per non licenziare il personale;
non ridurre la qualità delle iniziative di evangelizzazione;
non ridurre la dimensione caritativa della vita della Chiesa (per es. il Fondo per il Lavoro è nato un paio di anni fa);
non svendere il patrimonio della Chiesa di oggi e di domani;
muoverci ricercando sempre al massimo i tre grandi valori della economia: essenzialità, trasparenza e legalità”.
Attenzione, oculatezza, massimo risparmio. Ma senza svendersi né rinunciare alla propria missione evangelica. Don Manduchi, oggi è una impresa possibile o dobbiamo aspettarci una Diocesi “a scartamento ridotto” a causa di ristrettezze economiche?
“Nonostante la crisi e i tempi difficili, la Chiesa riminese non ha mai smesso di «investire», in nessuno settore. Sul fronte del sostegno alle emergenze, ad esempio aiutando le popolazioni terremotate del centro Italia ma pensiamo anche l’enorme attività quotidiana della Caritas, agli investimenti anche in termini di volontariato e di persone nel campo della pastorale e su quello delle ristrutturazioni del proprio patrimonio.
E dopo la Chiesa di Corpolò, la chiesa del Suffragio di Rimini, il Suffragio di Santarcangelo – per citare solo le ultime che mi vengono in mente -, abbiamo in cantiere un altro intervento molto impegnativo”.
Che alimenterà magari qualche altra ombra sulla gestione e sulle scelte compiute dalla Diocesi…
“Mi dispiace se qualche giornalista che ha fatto del «sospetto» il criterio dei suoi interventi ha bisogno di vedere a tutti i costi «il nemico» in cattiva fede dedito al doppiogioco anche nella nostra Chiesa riminese. Affermo con forza che non abbiamo alcun losco interesse né usiamo mezzi discutibili per affrontare i nostri problemi”.
Sospetti e illazioni investono ciclicamente anche la figura del Vescovo. Periodicamente dato in partenza. Mons. Francesco Lambiasi ha veramente la valigia in mano?
“Non è la prima volta da quando il Vescovo Francesco è il pastore della Chiesa riminese che il suo nome viene accostato con sicurezza ad altre diocesi, e sempre con dovizia di particolari. Dal settembre 2007, il Vescovo Francesco è a servizio di questa Chiesa, con lo stesso entusiasmo e fiducia nell’opera dello Spirito Santo che ne hanno contraddistinto il suo arrivo. In una recentissima intervista ha ribadito: «Se la Diocesi non si è ancora stancata di me, io di sicuro non mi sono stancato della Diocesi. Sono contento del servizio che il Signore attraverso la Chiesa mi ha chiamato a svolgere qui, a Rimini».
Anche quella del Vescovo è una missione: né un peso né un premio ma un dono. E come un dono immeritato e pregiato, va custodito e coltivato.
Il Vescovo, dunque, potrebbe essere trasferito ma non certo per la situazione economica della Diocesi – che è totalmente sotto controllo, come abbiamo spiegato – bensì per esplicitare la sua vocazione, come qualsiasi altro vescovo o prete, pastore e maestro che ha a cuore la vita della sua Chiesa e dei suoi fedeli, tutti e ciascuno, secondo una espressione cara proprio al vescovo Francesco. Cercando di vivere ogni giorno come se fosse il primo, come fosse l’ultimo, come fosse l’unico, altrove come a Rimini”.
Paolo Guiducci