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I compiti? Si passano utilizzando WhatsApp

Li incontro fuori da una gelateria. Sono una decina e frequentano dalla terza media alla seconda superiore: maschi e femmine. Vi considerate dipendenti da smartphone?, domando loro. “Nooo. Esagerato!”, rispondono in coro. Almeno la metà tiene il gelato in una mano e il telefono nell’altra. Insospettito, indago ulteriormente:

Quante volte lo usate la mattina a scuola?“Ogni cinque minuti, sennò ci annoiamo”. E al pomeriggio? “Sempre, sempre”. Proseguo: “Sì, sì, spesso… ma poi rimane acceso”. E la sera prima di andare a dormire? Immagino sia l’ultima cosa che guardiate . “Esatto. Io lo uso anche la notte”, aggiunge una. Riformulo la domanda: Dunque vi considerate dipendenti da smartphone? “Ehm… ma… beh…”.
I giovanissimi di oggi sono dipendenti dai dispositivi mobili in maniera indicibile. “Quando li sequestriamo e vengono a piangere da me in presidenza, sembra quasi di togliere loro una dose di droga”, confessava un dirigente scolastico nello scorso numero de ilPonte.

A che età il primo cellulare? C’è chi lo ha avuto in quinta elementare, la maggior parte in prima media, raccontano i ragazzi fuori dalla gelateria. “Io lo uso in classe in prima fila, gioco con un’app del calcio… Io lo tengo nell’astuccio, non lo vede nessuno”. Mai beccati? No, la maggior parte dei docenti fa finta di niente. Dopotutto se dovessero interrompere la lezione ogni volta che un polpastrello striscia su display touch, Petrarca lo insegnerebbero in quinta. Durante i compiti in classe: cellulari tutti via, “soprattutto con quella di italiano; con gli altri invece riusciamo a fare le foto alle verifiche”. E poi si immortalano tra loro mentre il prof. non guarda, nonostante sia arci-proibito. E così, ritratti di compagni sonnecchianti finiscono sui social network per farsi due risate.

Compiti via WhatsApp. Il pomeriggio i più furbetti (e sono davvero tanti) si passano i compiti su WhatsApp: uno bravo svolge gli esercizi per tutti e li inoltra agli altri. Latino, matematica, greco, spagnolo… di tutto, a parte ginnastica e religione. Tra notifiche e chattate, i tempi per esercitarsi a casa si dilatano esponenzialmente. La testa è sulle nuvole, anzi: sulle “cloud” della rete. L’attenzione è risucchiata dai server di Ask.fm, un sito dove si domanda (“ask”) di tutto agli altri utenti, giovanissimi. “Ci facciamo gli affari degli altri: ad esempio chiediamo chi è fidanzato”. Dando un’occhiata al sito ci si accorge che le domande non solo sono infinitamente personali, ma anche incredibilmente volgari.
L’incontro. Al Centro Studi incontro un gruppo di studenti, due dei quali “messaggiano” mentre parlano. “Non conosco nessuno che non usi lo smartphone in aula”. Come lo usate? “WhatsApp, Facebook, Instagram, Ask…è dura resistere senza connessione”. Il cellulare in classe, per legge, deve rimanere spento nello zaino. “Io lo tengo acceso sul banco – confessa una ragazza – e mi riprendono più volte al giorno, ma non me lo ritirano”. Anche tra loro, più grandicelli, ci sono i gruppi di classe su WhatsApp per copiare i compiti dagli altri. Peggio: c’è chi ha anticipato il compito ad un’altra classe con lo stesso professore nella medesima maniera.

Mirco Paganelli