Ai lettori de il Ponte la scorsa settimana è arrivato il pieghevole della Scuola Diocesana di Politica. Per molti la prima reazione è stata chiedersi a cosa serve una scuola di politica, promossa dalla Diocesi.
Abbiamo girato la domanda al direttore Agostino Pasquini: “Se qualcuno si dovesse illudere che la passione politica e l’impegno sociale si possono imparare a scuola, ad una qualunque scuola, si sbaglia. Noi partiamo da un altro presupposto: chi ha la passione per la politica o per l’impegno sociale non sa dove andare per fare un po’ di formazione” .
Dunque l’idea è quella di formare la classe politica, di insegnare come si governa, di insegnare come ci si deve impegnare per i poveri e gli emarginati?
“Assolutamente no! Ciò che vogliamo proporre, in un’ottica cristiana, sono i fondamenti, quelli che qualcuno si ‘ostina’ a chiamare i valori, dando per scontato che ancora oggi, per il bene comune bisogna partire da grandi motivazioni ideali”.
La scuola vuole dunque rifondare la politica? Magari ricreare le condizioni per un partito di cattolici che si ritrovano attorno ad una base valoriale comune?
“Tra le ottanta persone che si sono iscritte nei due anni precedenti, abbiamo avuto, oltre a chi voleva semplicemente capire, politici che a diversi livelli, dai quartieri ai sindaci, dagli assessori ai dirigenti di partito, provenivano da entrambi gli schieramenti. Gli stessi docenti hanno diverse ispirazioni politiche. Il vero obiettivo è quello di trovare una base ideale comune, poi ognuno la declinerà nella sua storia personale”.
Quali sono oltre alla Dottrina Sociale della Chiesa, le materie che ritenete fondamentali per creare una base ideale sufficiente per l’impegno sociale e politico?
“È bene sempre partire dall’idea di uomo che abbiamo, quindi dall’antropologia e dalla filosofia politica, cioè dalle idee che stanno alla base dello stato moderno: libertà, uguaglianza, fraternità, legalità. Sono le idee della rivoluzione francese, dovrebbero essere molto care ai pensatori laici, ma francamente se ne sente parlare poco. Poi è necessario avere nozioni di economia e di quella economia “sociale” senza la quale rischiamo di lasciare il mercato in mano agli squali.”
La vostra scuola quindi propone la teologia, la filosofia, l’economia, tutte materie che già l’università propone, non è che sono troppo accademiche e poco pratiche?
“Sarebbe straordinario creare una scuola in cui si insegna ad essere consigliere comunale, assessore o deputato… In duecento anni di stato moderno nessuno ci è mai riuscito; noi molto più semplicemente pensiamo che accanto a questa che è l’ABC di ogni impegno sociale e politico, servano di volta in volta degli approfondimenti su alcune questioni, ancora una volta di fondo, poi ognuno troverà nella propria esperienza le modalità per applicare questi principi”.
Quali sono dunque queste materie più pratiche?
“Ne abbiamo individuate due, anche se avrebbero potuto essere di più. Per prima cosa abbiamo pensato di proporre uno studio sulle relazioni internazionali e sulla mondialità, di fronte alla constatazione che il mondo è sempre più globalizzato, è necessario capire i meccanismi che stanno alla base delle relazioni tra stati.
Poi nell’amministrazione dello stato, la vera novità sono il federalismo e la sussidiarietà, cioè il trovare uno spazio per la società civile nella gestione dei servizi ad un livello il più possibile vicino ai cittadini”. (cz)