Gestisce hotel (tre per l’esattezza a Marina centro), non fa beneficenza. E lo fa insieme al figlio Alberto, dopo aver imparato dal padre. In questa catena in cui si intrecciano ospitalità e professionalità, la riminese Lorena ha incontrato A. e G. Aspiravano ad un posto da tirocinanti, dopo aver frequentato corsi di formazione. A. e G. sono a Rimini grazie al progetto Sprar gestito da Comune e Caritas diocesana, Debora Debebe è la loro “madrina”. “Ci siamo guardati negli occhi, io e mio figlio, e ci siamo detti: perché no?”.
A. è entrato lavapiatti, dopo 20 giorni era già finito in cucina come terzo aiuto cuoco, e non per grazia ricevuta. “La sua voglia di apprendere faceva la differenza, la curiosità e la passione” assicura. Un mese più tardi A. è promosso aiuto cuoco. Si destreggia con abilità tra pentole, fornelli e ricette. Ogni piatto vale oro, e ogni cliente è IL cliente, fa conquistare con una lasagnetta o un branzino al sale. Ci mette l’anima, A., in quelle lavorazioni che diventano piatti. E la sua integrazione si insaporisce ogni giorno di più. “Non è il colore della pelle o la religione che fanno la differenza, ma la tua umanità. Di cui ciascuno di noi è portatore sano”. Non tutte le ciambelle riescono con il buco, e per A. come per altri ragazzi rifugiati in cerca di dignità a Rimini, l’italiano è ben più difficile da servire a tavola di un antipasto caldo. “Però noi abbiamo l’opportunità di imparare gratis italiano e inglese” ci scherza su Lorena, l’albergatrice riminese. “La lingua è un ostacolo: per chi vuole vivere in Italia, a Rimini, in Riviera, è necessario potersi esprimere e comprendere la nostra lingua”.
Le storie di A. e G. però parlano a volte più di un discorso nella lingua di Dante. E Lorena si commuove pure ripensando a cosa è piovuto addosso a F. e a tutti gli altri che son passati dai suoi hotel. Li accoglie anche quando non ha posti di lavoro da offrire. L’ultimo caso è quello di D., rimasto senza un tetto. “Con quale coraggio potrei lasciarlo all’addiaccio sapendo che non ha uno straccio di possibilità di trovare un tetto, un piatto caldo e una briciola di amicizia?”. Si crea una rete informale di umanità tra Liliana, il figlio, D. e altri giovani in difficoltà. In più di un caso il dado è tratto: un posto letto, panni da indossare, una parola buona, una stretta di mano.
E in hotel i tirocinanti aumentano. E non di rado – terminato il periodo di tirocinio – vengono assunti, qualora dimostrino le capacità adatte. “A noi interessa che conoscano il mestiere, e ci mettano passione”.
Ogni progetto allestito da Caritas ha un termine, ed è necessario per quella data che i ragazzi accolti possano sostenersi in autonomia. “In questo frangente il lavoro è una emergenza per chi è in Italia con permesso di soggiorno per motivi umanitari: secondo il nuovo Decreto Sicurezza non esisterà più, e chi ne è dotato lo deve convertire con un contratto di lavoro e passaporto. – precisa la Debebe – Chi invece ha avuto il riconoscimento di protezione internazionale non ha questa necessità impellente”. È il caso di S., 20 anni, originario della Guinea. In seguito ad un corso certificato con il Cescot, ha iniziato il tirocinio ed in seguito è stato assunto dallo stesso hotel in cui prestava servizio, quello gestito da Lorena. Ha lasciato piatti e pentole per tornare in patria, ed entrare in possesso del passaporto: ora ha ripreso il posto di lavoro a Marina centro.
Lorena ha cuore. A., pakistano di 21 anni, arrivato a Rimini minorenne, ha stabilito un rapporto di fiducia e di amicizia con l’albergatrice, e lei si è fatta in quattro per aiutarlo a trovare un impiego. Ora A. lavora in un McDonald’s. E un altro ragazzo, ora uscito dal progetto Sprar, è stato assunto. “Non sono una filantropa, – ribadisce Lorena – ma il merito – e una occasione di riscatto – non possono essere condizionati da culturae colore della pelle”.