La Babylon di Damien Chazelle, regista premiato con l’Oscar per La La Land, è Hollywood, la “mecca del cinema”, la “fabbrica dei sogni”, un luogo dove dietro alla facciata dei lustrini e delle pailettes si cela un mondo “infernale”, tra festini orgiastici, fiumi di alcol e droga, depressioni, carriere stroncate e star emergenti, tra compromessi e sotterfugi pur di avere una parte. La Hollywood che racconta Chazelle è quella del periodo tra la fine degli anni ’20 e gli anni ’30, con un appendice nel 1952, giusto per l’uscita di “Cantando sotto la pioggia” (al quale viene tributato un sentito omaggio), nel cruciale passaggio dal “muto” al sonoro, un evento epocale che “cambia tutto” e rivoluziona un’industria che produceva film a ripetizione, uno accanto all’altro, senza neppure i teatri di posa (quelli arrivano poi) e ci si doveva arrangiare con fantasia e creatività. “Babylon” è un corposo (190 minuti di durata) vortice di vicende cinematografiche, davanti e dietro allamacchina da presa, tra un attore di successo alla ricerca di conferme (Brad Pitt), una divetta pronta a tutto (Margot Robbie) e un ignaro ed umile messicano (Diego Calva) che si troverà a far carriera nel business del cinema, sfruttando le sue intuizioni.
Un “sopra le righe” eccessivo quanto serve (non piacerà a tutti) per mettere in mostra un mondo che non c’è più, tra la luce dello schermo e le ombre del “dietro le quinte”, con un finale commovente che ci fa capire ancora una volta che, volente o nolente, abbiamo bisogno dei film al cinema per continuare a sognare ad occhi aperti.