Nel Duomo di Bolzano Le Sette ultime parole in un magnifico concerto dell’Orchestra Haydn diretta da Kent Nagano
BOLZANO, 19 giugno 2023 – Un itinerario spirituale. Tanto più intenso e profondo perché legato alla crocifissione di Cristo descritta dall’evangelista Matteo. Tra i più straordinari esiti musicali di Joseph Haydn, Le sette ultime parole del nostro Salvatore sulla croce si snodano – dopo una maestosa introduzione strumentale – attraverso sette sonate che scandiscono altrettanti momenti dell’agonia di Gesù, per concludersi con un agitato terremoto.
Affidata alla bacchetta di Kent Nagano, l’esecuzione di questo capolavoro ha siglato – nel Duomo di Bolzano – la stagione 2022-23 dell’Orchestra Haydn, segnando forse il vertice più alto del cartellone.
Il direttore nippo-americano ne ha valorizzato la raffinata scrittura contrappuntisica, ottenendo – benissimo corrisposto dagli strumentisti – sonorità luminose e suadenti: un nitore di suono e un’eleganza che prendono origine dalla minuziosa attenzione a ogni dettaglio. In una lettura dove non si avvertono mai forzature, ha valorizzato la scorrevolezza della musica, stemperandone i drammatici eventi rievocati da Haydn in favore di un misticismo che va oltre i meri aspetti formali e, nei momenti più ispirati, sfiora la trascendenza. Nagano è così riuscito a imprimere a questa pagina del 1786 (nonostante il compositore l’avesse concepita per i tetri rituali del venerdì santo che si tenevano a Cadice, nella Spagna del sud) una spiritualità intensa e di segno tutto contemporaneo, capace di parlare all’ascoltatore odierno al di là di ogni fede religiosa.
I sette episodi si sono dunque inanellati in un flusso narrativo che non è solo musicale. Gli icastici versetti evangelici delle didascalie in lingua latina – apposte da Haydn nell’edizione a stampa sotto la parte del primo violino – sono stati commentati, con sobrie parole, dal vescovo di Bolzano monsignor Ivo Muser, quasi fossero meditazioni. L’accorata invocazione di Cristo «Padre perdona loro perché non sanno quello che fanno» cede il passo all’episodio del buon ladrone, per arrivare poi alla toccante affermazione «Donna, ecco tuo figlio», quando Gesù affida la cura di sua Madre all’apostolo Giovanni. Ed è lo struggente grido «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?», vertice drammatico dell’intera composizione, a esprimere tutta l’umanissima angoscia della sofferenza di Cristo, resa da Nagano attraverso un’incredibile varietà di sfumature dinamiche. La più terrena invocazione, quella legata alla sete, conduce poi alla rassegnata constatazione che ormai «Tutto è compiuto», fino al sereno abbandono «Nelle tue mani, Signore, raccomando il mio spirito».
Alla fine di questi episodi, la descrizione solo strumentale del terremoto che sconquassò il Golgota trasmette, attraverso una scrittura – con le sue dissonanze – davvero innovativa per l’epoca, la sensazione di un’umanità lasciata a fare i conti con se stessa, dove niente potrà mai più essere come prima, anche sul piano musicale. Una consapevolezza ben chiara in Nagano, abituato a frequentare assiduamente tanto il repertorio romantico quanto la musica novecentesca, che affronta un settecento ormai pienamente giunto a maturazione sul piano della forma – come quello di Haydn – in modo mai convenzionale, ma facendone affiorare i tratti di modernità che si intravedono nelle pieghe della partitura, per non creare fratture e steccati rispetto all’oggi. Forse il maggior pregio di questo grande direttore.
A dimostrazione dell’eclettismo che guida le scelte di Nagano e della sua capacità di collegare periodi musicali lontani fra loro, Le sette ultime parole erano state precedute, come un ideale prologo, da Piccola musica notturna di Luigi Dallapiccola, brano eseguito per la prima volta nel 1954. Non è solo un organico molto simile a collegare queste due partiture, ma una sorta di unico arco espressivo che si snoda tra la breve pagina (appena otto minuti) del compositore istriano, caratterizzata da un linguaggio dodecafonico, e il ‘presto’ del terremoto che conclude il capolavoro di Haydn. Nonostante quasi due secoli di lontananza.
Giulia Vannoni