Il cancro è un male incurabile: un mito che oggi viene smentito, dati alla mano. Dagli anni ’90, in Italia – ma lo stesso si può dire per la Romagna e la provincia di Rimini, come afferma il direttore dell’Unità Operativa di Oncologia riminese, Davide Tassinari – è aumentata in maniera significativa la percentuale di persone che dal tumore sono riuscite a guarire: per gli uomini si è passati in un ventennio dal 40 al 57%, per le donne dal 50 al 63%.
Scendendo nel dettaglio delle differenti neoplasie, tra gli uomini il tasso di sopravvivenza a cinque anni dalla diagnosi del tumore alla prostata è passato, nello stesso arco di tempo, dal 62 al 90%, quello al colon retto dal 50 al 64%, quello allo stomaco dal 25 al 34%. Tra le donne, la percentuale di guarite dal tumore alla mammella ha registrato un balzo dal 78 all’87%, per quello all’utero dal 60 al 71% e per il cancro al colon retto dal 51 al 63%.
Oltre ai progressi segnati negli ultimi due decenni, importante è il confronto tra il dato riminese e romagnolo di sopravvivenza a cinque anni dalla diagnosi e quello medio nazionale. Tra gli uomini, per il tumore alla prostata, in questa provincia arriva al 92% (90% la media nazionale); per il colon retto scende a 66 ma è comunque superiore anche qui alla media nazionale (64).
Anche tra le donne le speranze di sopravvivenza a cinque anni dalla diagnosi sono migliori, nel Riminese e in Romagna, alle performance medie nazionali: 90% per la mammella, ben 3 punti percentuali più del dato italiano; 43% per lo stomaco (molto più della media nazionale che è di 35).
Dottor Tassinari, come spiegare questi dati?
“In questi anni si è verificato un miglioramento significativo della diagnostica precoce e delle terapie, ma soprattutto dell’integrazione tra esse. Altrettanto fondamentale per la Romagna è stato lo sviluppo di un modello «a rete» dove insieme alla combinazione tra gli strumenti di diagnosi e le terapie si è consentito al malato di avere le stesse opportunità di cura, da Novafeltria a Meldola.
Se poi in provincia di Rimini e in Romagna si registrano performance migliori, in alcune forme tumorali, rispetto alla media nazionale, ciò avviene non perché in questo territorio i tumori siano meno aggressivi, ma perché migliori sono alcune scelte organizzative adottate dalla Ausl nella nostra area con la nascita, in riferimento al tumore alla mammella, della Breast Unit e di ambulatori dedicati a Rimini e Cattolica. A fare la differenza anche la dotazione di una chirurgia di qualità a Rimini e Riccione”.
Dunque quello del “male incurabile” è un mito da sfatare?
“ll tumore è sempre curabile, anche se in modi diversi e con diverse possibilità. Ci sono malattie che possono essere considerate difficilmente guaribili o per cui non ci sono state grosse modifiche nei tassi di sopravvivenza, altre per cui i progressi della diagnostica e della terapeutica hanno portato ad un miglioramento della prognosi”.
Cosa ha fatto di più la differenza?
“Una migliore tecnologia, il progresso dei farmaci, ma soprattutto la rete assistenziale: fin dal primo sospetto di neoplasia, il paziente viene inserito in un percorso diagnostico e terapeutico che, come dicevo, dà le stesse opportunità di cura e assistenza in tutta la Romagna. Ci sono pazienti che guariscono ma che continuano ad essere sottoposti a controlli perché necessitano comunque di un supporto di rete – e il numero delle visite a questi pazienti, negli anni, è notevolmente aumentato – e ci sono assistiti che pur non guarendo vengono comunque curati e accompagnati, purtroppo, anche fino alla morte, con il tentativo di migliorare perlomeno il loro tenore di vita. Qui diventa particolarmente importante l’integrazione tra i servizi di oncologia e le terapie di supporto e palliative. Tanto più precoce è questa integrazione e tanto migliore e più lunga sarà la loro prospettiva di vita”.
Che cosa intende per terapia di supporto?
“Parlo di terapia del dolore, terapia dei sintomi correlati al tumore, ma anche di supporto alla persona e alla sua famiglia. È quello che noi chiamiamo «trattamento del dolore totale» (fisico, psicologico, perdita del lavoro, disagio sociale). Il paziente va protetto nella sua condizione di fragilità e posso dire che l’Ausl romagnola ha il merito di aver fatto un grosso impegno in questo. L’assistito e i suoi cari vanno accompagnati non solo nella somministrazione dei farmaci, nell’igiene del malato, nell’aiuto psicologico, ma anche con interventi di tipo sociale e sovvenzioni di tipo economico, favorendo il più possibile la domiciliazione del paziente. È fondamentale la collaborazione, oltre che con i servizi ospedalieri, il servizio di cure palliative e Hospice, con i medici di medicina generale”.
In che modo viene attuata questa collaborazione?
“Tutte le settimane un palliativista viene a visitare i pazienti in Oncologia a Rimini, ma va anche a Cattolica come a Novafeltria. Per quanto riguarda il supporto psicologico, invece, la cui necessità si presenta non solo nella fase più avanzata della malattia ma fin dal primo sospetto di diagnosi, l’Oncologia riminese ha due psicologhe di ruolo: una inserita nell’organico, che lavora anche nella prevenzione, l’altra impiegata nell’Hospice, che coordina le attività sul territorio. In aggiunta, il sistema può contare anche su altre due psicologhe grazie alla collaborazione con l’istituto Oncologico Romagnolo, che coprono il territorio”.
Finora abbiamo parlato perlopiù dei malati, di come cercate di migliorare la loro qualità della vita, nonostante tutto. Ma i guariti?
“Non vanno dimenticati e l’Oncologia moderna, negli ultimi vent’anni, se ne è accorta. Parliamo di persone che si sono dovute sottoporre a mutilazioni chirurgiche, che seguono trattamenti che richiedono per tempi prolungati un blocco della funzione genitale, maschile come femminile. Tutto ciò – solo per citare alcuni esempi – porta ad una serie di problematiche che fino a qualche anno fa il sistema sanitario tendeva a non considerare. Come vivere la sessualità dopo aver scoperto di avere un tumore? Come desiderare ancora di avere un figlio? Come pensare di poter garantirgli un futuro? Il guarito è un sano che rischia di essere oppresso dal senso di essere malato: nel rapporto con gli altri, nel lavoro… Sono tutti aspetti che noi medici siamo riusciti a cogliere e comprendere meglio anche grazie al riscontro delle associazioni dei pazienti. Per questo stimolo spesso i pazienti, anche quelli guariti, e le associazioni stesse a parlare. La loro è una forma di sofferenza silenziosa, una voce che è più difficile ascoltare. È questa la grande sfida della medicina ultraspecializzata: vedere la persona al di là dei geni”.
Alessandra Leardini