Facciamo rumore. Sabato 25 novembre Giornata mondiale contro la violenza sulle donne. I dati riminesi del fenomeno e alcune drammatiche testimonianze
Gli occhi. Fedeli confidenti di celate verità. Finestre a picco sull’anima.
Tutto comincia dagli occhi.
Raccontano, instancabili, storie infinite, passati, rimpianti, futuri, speranze.
Certo, bisogna saperli leggere e interpretare. È necessario esser in grado di crittografare il loro messaggio, il loro sussurro. Molto spesso, purtroppo, sono testimoni di raccapriccianti episodi, indicibili violenze, soprusi, maltrattamenti. Ancora più spesso, sono gli occhi di tante donne a subìre queste ingiustizie.
In occasione della Giornata Mondiale contro la Violenza su di loro (25 novembre), ma anche per celebrarle e sostenerle a prescindere, oggi è dei loro occhi che vogliamo parlare.
E, per inquadrare bene il mirino, snoccioliamo qualche numero. 270 sono le donne che nei primi dieci mesi del 2023 hanno usufruito dei servizi del centro antiviolenza Rompi il Silenzio, a Rimini.
Il 66% italiane (150), e 75 straniere, con un’età media sempre più in calo. 137 i casi di violenza fisica denunciati; 95 quelli di natura economica; 52 di natura sessuale e 184 di natura psicologica. 50 le richieste di reddito di libertà avviate dalle strutture riminesi e 5 quelle di autonomia abitativa.
Sono gli occhi stanchi di tutte queste vittime e di tante altre che lanciano un grido soffocato invocando aiuto. “ L’unica strada da percorrere è sviluppare una consapevolezza collettiva, – afferma decisa Chiara Bellini, vicesindaca con delega alle politiche di genere del Comune di Rimini – partendo proprio dai più giovani, visto che si sta abbassando anche l’età media di chi si rivolge agli sportelli, per educare ad una vera cultura del rispetto”.
Ma non è sempre così semplice chiedere aiuto.
Specialmente se non si conoscono le varie possibilità, le alternative e gli strumenti disponibili atti alla propria tutela. Spesso il doloroso macigno delle angherie molte donne continuano imperterrite a sorreggerlo fino a quando non giungono ad un punto di non ritorno, quando esauste lo gettano al suolo insieme con l’erronea convinzione di non avere alcuna via di scampo.
Invece, strade che conducono alla libertà e alla luce ce ne sono. Nel contrasto alla violenza di genere si è recentemente proseguito con l’entrata in vigore della legge n.
69 del 2019 ( c.d. codice rosso) che ha rafforzato le tutele processuali delle vittime di reati violenti, con particolare riferimento ai reati di violenza sessuale e domestica. Vi è anche un numero verde attivo 24h su 24 che accoglie, con operatrici specializzate, le richiese di aiuto e sostegno delle vittime di violenza e stalking ed è il 1522.
Sparse per il territorio, in aggiunta, vi sono delle comunità pronte ad accogliere, soccorrere e offrire supporto legale, psicologico, medico, in completa sicurezza e anonimato.
Abbiamo incontrato – in una casa famiglia della Comunità Papa Giovanni XXIII – alcune donne che, preso il coraggio, hanno compiuto un passo verso un futuro tutto nuovo e migliore. (I nomi sono di fantasia).
Il tragico viaggio di Yewande Yewande, a fine 2016 lascia il suo Paese, la Nigeria, convinta di partire per svolgere un lavoro dignitoso in Italia, per aiutare economicamente la propria famiglia in difficoltà. Non ancora maggiorenne, ha un bagaglio carico di speranza, aspettative e fiducia. Certo, non mancano le ansie e le preoccupazioni, ma il miraggio di una vita migliore le neutralizza un poco.
Il viaggio, però, si rivela davvero difficile. In Libia, subisce la prima violenza sessuale e tutto il suo mondo, radicalmente, cambia senza che lei ne abbia più alcun controllo. Giunge a Catania, a seguito di un salvataggio di una nave ONG, e ci resta per i tre mesi successivi. Mesi in cui non riesce a mettersi in contatto con i suoi genitori e si sente sola come non mai. Nonostante il dolore e la delusione assaporati in viaggio, Yewande non demorde e vuole trovare il prima possibile un lavoro decoroso. Chiede soccorso ad un connazionale che l’aiuta a raggiungere Parma, dove però la stava già aspettando quella che sarebbe diventata la sua ‘ madame’. Inizialmente ciò che era costretta a fare era consegnare pacchetti (molto probabilmente contenenti droga) e ritirarne i compensi.
Dopo un successivo trasloco a Bergamo, la sua madame le pone davanti agli occhi la realtà terribile che avrebbe costituito la sua vita da lì in avanti: la prostituzione forzata. “ Nella bella stagione lavoravo
dalle 9 alle 21, in inverno terminavo ialle 16. Ho lavorato da novembre 2016 a marzo 2019 guadagnando circa 200/300 euro al giorno.
Quando guadagnavo meno la madame mi picchiava per spronarmi a guadagnare di più”. Niente contatti esterni, niente telefono, niente a cui potersi aggrappare, se non la speranza, un giorno, di vedere la fine di quel tunnel terrificante che pareva infinito.
Talmente assoggettata dai suoi sfruttatori che anche quando si ritrovava per qualsivoglia motivo da sola all’interno dell’appartamento dove viveva, svolgeva le solite faccende che le erano state chiesto di fare senza domande, non ha mai provato a scappare o chiedere aiuto. In mente aveva i suoi genitori, la sua famiglia che contava su di lei. Poi, a marzo 2019, la svolta.
Incontra per caso un ragazzo, che in Nigeria era un suo vicino di casa. Era già capitato, nei tre anni da incubo, che la madame la sorprendesse al telefono di nascosto con lui, e le conseguenze non sono difficili da immaginare.
Tuttavia, quell’incontro le dà la forza di reagire. Grazie al supporto di Manuel (nome di fantasia), riesce a fuggire.
“ Mi convinsi a sporgere denuncia e da giugno 2019 sono inserita in un percorso di protezione per vittime di tratta e grave sfruttamento.
Ad oggi ho una relazione stabile e ho finalmente ripreso a frequentare la scuola, conseguendo la terza media!
Sono anche mamma di un bellissimo bimbo”.
Le profonde ferite di Susan Molto simile è anche la storia di Susan che, a vent’anni, si ritrova a pesare 45kg e a dormire in un giaciglio di fortuna in un parco. I suoi occhi, però, svelano la sua voglia di curare le proprie ferite, sostituire ogni mancanza, dare tregua a quel turbinio di emozioni contrastanti che sente vorticare senza sosta dentro di sé, accanto al suo cuore martoriato dalle batoste subìte che palpita incrollabile. Il suo passato ce lo racconta Angela Simone, una giovane educatrice che ha deciso di dare voce agli occhi di Susan e di tante altre ragazze che come piccole stelle senza cielo, camminano tra i corridoi della casa famiglia dove lavora. E lo fa imprimendo il loro grido nero su bianco, tra le pagine spesse e grevi – per il peso delle verità che sorreggono – del libro ‘ La casa delle ragazze’.
“ Susan arriva nella casa delle ragazze in una fredda giornata d’inverno. Notiamo fin da subito, una certa difficoltà a mandar giù il cibo. Non riesce a sfiorarne il gusto e mangia come farebbe una bambina, invece di anni ne ha venti”. Inizialmente questo particolare non desta troppa preoccupazione, probabilmente ha bisogno di ambientarsi e assicurarsi di poter tirare un sospiro di sollievo. “ Il rigetto di prelibati piatti è seguito dal possesso maniacale di un dispositivo mp3, trascorre molte ore con gli auricolari. Tenta, disperatamente, di silenziare con le note, il rumore dei ricordi”. Ricordi indelebili, che solcano sulla pelle giovane di Susan indicibili ferite. Quelli riguardanti l’appartamento dai tappeti pregiati e divani di pelle del suo sfruttatore. “ È stata violentata giorno e notte, costretta a vendere il corpo ai migliori offerenti”. Tenta anche il suicidio, Susan, disperata e desiderosa di porre fine alla sofferenza.
Ma per fortuna si salva.
Tramite i servizi sociali conosce la Comunità Giovanni Papa XXIII e decide di intraprendere un percorso che l’avrebbe portata gradualmente all’autonomia. “ Susan per diverse sere, scruta il buio e attende l’aurora. L’oscurità è illuminata da un chiarore di poco inferiore a quelle stelle che, solo a guardarle, l’anima se ne rallegra”. Ed oggi ce l’ha fatta. “ Susan è riuscita a conquistare la luce, è la cameriera in un ristorante, ha terminato la scuola e presto sarà pienamente autonoma.
Si ferma ancora a guardare le stelle, visibili dal giardino della casa delle ragazze, per ringraziare Dio della nuova vita che vivrà e del bello che verrà”.