Vista dalle colline, la Romagna sembra una grande città immersa nel verde dei suoi frutteti; una città punteggiata da chiese e campanili e solcata da numerose strade, più o meno trafficate.
E come da ogni parte della pianura è possibile scorgere “l’azzurra vision di San Marino”, così dai colli emerge subito, fra tante chiese, la “bianca visione di San Vito”. E quando si viene a Rimini in autostrada da Cesena, quel vistoso e inconfondibile campanile ci dice che siamo ormai giunti alla meta. E quel campanile (non proprio quello) è da secoli (almeno undici) che segnala una presenza cristiana in Romagna.
E dopo tanti secoli di gloriosa storia, in questa pieve dei santi Vito e Modesto è parroco da 33 anni don Giuseppe Celli, settantenne senza affanno.
“Sì, è da ben 33 anni che sono parroco qui: un’età non troppo favorevole per un certo galileo. Prima di me però ci sono stati parroci che non hanno durato meno e sicuramente hanno lasciato segni positivi indelebili. Mi riferisco in particolare a don Giovanni Marconi e a don Michele Sacchini che hanno impresso una spiritualità profonda a tutta la parrocchia, amore per la liturgia, attenzione ai bisogni della gente. E non si sono preoccupati solo del bene spirituale dei loro fedeli, ma anche di quello materiale: si pensi, ad esempio, che don Marconi ha fondato la Cassa Rurale (1914), ha fatto venire la Suore (1933), ha fondato la scuola materna. Don Sacchini nel dopoguerra è stato la persona di riferimento per la ripresa e lo sviluppo del paese. Ha ricostruito la chiesa distrutta dalla guerra, ed ha rifondato anche il paese non solo dal punto di vista comunitario, ma anche fisicamente con opere tangibili”.
San Vito è diventato un grande paese, anche se non si sa mai bene se è una frazione di Rimini o di Sant’Arcangelo.
“Di tutti e due, anzi di tutti e tre, perché questa parrocchia si divide fra i comuni di Rimini, di Sant’Arcangelo e di San Mauro. Naturalmente anche le province che ci abbracciano sono due: Rimini e Forlì-Cesena. Ma come parrocchia questo non ci procura disagio. Quanto al paese, le case sono molte, ma gli abitanti sono poco più di tremila”.
non è troppo grande, il suo territorio però è assai esteso.
“Sì, anche perché i confini della parrocchia risalgono ad un periodo molto antico, quando ancora non c’erano la ferrovia e l’autostrada e quando la nostra parrocchia era ancora pieve, con un’ampia giurisdizione sul territorio. Da una parte, a Sud arriviamo alla via Emilia, dall’altra, a Nord, confiniamo con le parrocchie di mare”.
E riuscite a comunicare con tutti, a incontrarvi almeno qualche volta?
“Come detto, la nostra è una parrocchia medio – piccola ed essendoci anche il diacono Quinto si fa visita ogni anno a tutte le famiglie in quaresima (benedizione pasquale) . È un’attività pastorale da portare avanti finché sarà possibile. Alcune famiglie si incontrano solo così e sono anch’esse contente di essere visitate dal sacerdote. C’è buona relazione e amicizia.
Ci sono poi due strumenti per la comunicazione con la gente: Insieme, il giornalino parrocchiale che esce qualche volta nell’anno e La Nostra Agenda che riporta gli avvisi, le attività della settimana, qualche articolo formativo. Questo bollettino esce quasi tutte le domeniche”.
Ed è proprio su La Nostra Agenda alla porta della chiesa che ho visto il programma della Visita Pastorale. Ho notato che nei giorni della Visita il Vescovo incontrerà diversi gruppi. Mi hanno incuriosito i loro nomi. Per esempio, cos’è il gruppo Kumba?
“A parte il nome africaneggiante, si tratta di un gruppetto di persone che organizzano ogni mese in parrocchia il mercatino equo-solidale con le finalità di aiutare i produttori all’origine (cioè nei loro paesi di produzione), di sensibilizzare la gente, di aiutare il centro Caritas e altre attività di beneficenza con gli utili delle vendite. Una loro iniziativa simpatica sono le colazioni equo-solidali. Mentre tanti fanno pranzi o cene di beneficienza, loro hanno pensato alle colazioni, fatte rigorosamente con prodotti equo-solidali. Due o tre volte all’anno, alla domenica mattina, in una sala della parrocchia, offrono la colazione, non solo a quelli che vengono a messa, ma anche a tanti del paese”.
Curiosiamo ancora nei gruppi: un altro nome che sollecita la curiosità è il gruppo Roccia.
“È un gruppo di una quindicina di adolescenti che, dopo la Cresima, hanno continuato ad incontrarsi settimanalmente in parrocchia. Non fanno cose eccezionali, ma intanto il vedersi e lo stare insieme offre loro occasioni di dialogo e di crescita. Qualcuno di loro collabora anche col doposcuola a favore di immigrati o di ragazzi in difficoltà scolastica. Sempre da questo gruppo viene la collaborazione con la Caritas parrocchiale per la raccolta di alimenti presso i negozi del paese”.
Penso che in una parrocchia i gruppi siano le punte di diamante della pastorale: con loro si può fare un lavoro più assiduo e mirato e da loro ci si aspetta collaborazione e impegno. Insistiamo allora su questo argomento. Vedo ancora che c’è un gruppo denominato Speranza e Vita …
“Speranza e Vita è il gruppo delle vedove … dico delle vedove, perché di vedovi maschi se ne vedono ben pochi … in realtà sono pochi, perché i mariti muoiono prima delle mogli. Ad ogni modo si tratta di un gruppo piuttosto numeroso, circa 35, che si incontra mensilmente per pregare e per fare formazione di vita cristiana. Organizzano pellegrinaggi e di tanto in tanto momenti conviviali”.
A San Vito esistono anche gli scout. A dire il vero pensavo si trattasse di una derivazione da Sant’Arcangelo, invece…
“Invece si tratta del San Vito 1, nato nel 1995. Attualmente il gruppo è formato da una Comunità Capi di 11 persone, dal Branco Seeonee di 28 lupetti, dal reparto Pegaso di 22 guide ed esploratori e dal clan con 9 rover e scolte. Per una parrocchia piccola come la nostra avere una sessantina di scout ci sembra una buona realtà e una risorsa promettente per il futuro”.
Ma in una parrocchia di antica tradizione non mancherà l’Azione Cattolica …
“C’è anche l’Azione Cattolica con 22 adulti iscritti. L’Azione Cattolica, si sa, è di aiuto incondizionato alla vita pastorale della parrocchia ed ha il compito, tra l’altro, di educare le nuove generazioni alla vita della comunità. Così fra questi adulti ci sono quelli che si occupano dei ragazzi, facendo con loro attività di ACR (Azione Cattolica Ragazzi)”.
Penso che ormai abbiamo esaurito tutte le sigle.
“Per correttezza si devono menzionare anche il gruppo CVS (i volontari della sofferenza), si tratta di una dozzina di persone e i gruppi di preghiera, uno dei quali si incontra settimanalmente in una casa a pregare. Quando può è presente anche il parroco.
Per ultimo, ma con grande soddisfazione e speranza, ci sono due gruppi di famiglie: il “gruppo famiglie” e il “gruppo Tabor” (25 famiglie in tutto, e vediamo se riuscirà a nascere il terzo). I due gruppi hanno storia e impostazione piuttosto diverse, ma ambedue formano persone capaci di assumere impegni pastorali.
La cura pastorale delle famiglie, in genere, per quel po’ che si riesce a fare avviene nel tempo del catechismo dei figli, negli incontri motivati da una malattia o evento doloroso, dall’attesa di un figlio o dalla preparazione al Battesimo, oppure nella visita annuale per la benedizione pasquale”.
Mi rendo conto che raccontando la vita dei gruppi emerge in qualche modo la vita dell’intera Comunità. Però mi rimane un vuoto circa la catechesi ed i catechisti.
“Da molti anni c’è un buon gruppo di catechiste (una quindicina) che si formano con iniziative personali, con gli incontri col parroco e gli incontri fra di loro per la programmazione e la preparazione del lavoro coi ragazzi, con la partecipazione alla vita parrocchiale e frequentando gli appuntamenti diocesani.
Insieme alle catechiste incontriamo i genitori circa una volta al mese e sono incontri più di formazione che di organizzazione. Alcuni di questi incontri prevedono la presenza dei ragazzi e genitori insieme, con l’obiettivo che anche in casa possa esservi dialogo e preghiera insieme. C’è un impegno molto forte da parte delle catechiste, un impegno personale e di gruppo, c’è del tempo utilizzato per cercare, sperimentare metodi e strategie nuove. Il risultato a volte è incoraggiante, a volte meno. Inoltre una parte delle famiglie che portano i bambini a Messa, non sempre possono o scelgono di frequentare anch’essi”.
Un buon lavoro con le famiglie dovrebbe garantire anche una buona continuità.
“Purtroppo dopo questa buona disponibilità a venire in parrocchia nel tempo del catechismo, una parte degli adulti pian piano rallenta o cessa la frequentazione della parrocchia, incominciando da quando i figli hanno ricevuto la Cresima. Nei mesi estivi è notevole il calo della partecipazione.
E questi sono aspetti che un po’ ci preoccupano, ma che non possiamo nasconderci e sui quali siamo impegnati come comunità a lavorare”.
Dunque anche a San Vito, fra le luci delle cose belle e riuscite, si nascondono le ombre delle difficoltà. Ma quel che noi seminiamo solo Dio potrà farlo crescere.
Egidio Brigliadori