E’ stato il primo incontro del vescovo Francesco con la Missione diocesana in Albania. Un incontro veloce, di pochi giorni, ma ricco di stimoli, riflessioni e propositi.
Eccellenza, quale impressione le ha fatto l’Albania?
“Non c’ero mai stato. Appena uscito fuori dal modernissimo aeroporto di Tirana, mi ritrovo catapultato in un paese ferito e a lungo represso. Le cicatrici di un passato terribile non le trovo solo nelle buche delle strade o nei tantissimi bunker che ancora affiorano tra rovi e sterpaglie. Le leggo soprattutto negli occhi degli anziani e dei giovani, tutti segnati da un dubbio atroce: “ce la faremo a risorgere?”.
Eppure il “paese delle aquile” ti accoglie con il profumo di una umanità schietta e ospitale, capace di coraggio e di riprese impensabili. Dopo tre giorni di giri, incontri e contatti, non riesco a togliere il punto interrogativo: ce la farà questo a riprendersi? Si, ma non da solo. Comunque, faleminderit: grazie Albania,e urime: auguri!”.
Come le è sembrata la missione di Kuchove e Berat, iniziata 15 anni fa?
“Mi sono fatto accompagnare da don Renzo Gradara e da Suor Norma perché volevo rendermi conto di persona del cammino fatto in questi anni. Con loro ho condiviso la sensazione netta che di passi se ne sono fatti tanti e assai significativi.
Oggi la missione diocesana si presenta articolata in tre centri: Kuchove, con don Giovanni Vaccarini e tre suore dell’Immacolata di Miramare; Berat con la scuola delle Maestre Pie Filippini; Uznove, con tre sorelle di Montetauro.
Ogni comunità mette a disposizione il suo carisma: Montetauro, la preghiera liturgica e il servizio ai disabili; le Maestre Pie, l’impegno educativo; le suore dell’Immacolata, la collaborazione con don Giovanni nel campo della catechesi. La nostra missione è anche costellata di servizi sociali e culturali molto preziosi, come il piccolo ambulatorio di Suor Gemma, a Kuchove, o il grande centro polivalente – culturale e sportivo – di Uznove, costruito e sostenuto dalla diocesi di Arezzo.
La sensazione complessiva è quella che deve avere provato l’apostolo Barnaba, quando, inviato dalla comunità di Gerusalemme alla “missione” di Antiochia, “vide la grazia di Dio e si rallegrò”.
Posso dire anch’io di aver visto tanta grazia di Dio: come non rallegrarsi?”
Quali “propositi” pastorali per la missione e per la Chiesa di Rimini?
“Anche qui, mi verrebbe da dire: “grandi orizzonti e piccoli passi”.
Il grande orizzonte dell’evangelizzazione mi pare chiaro, anche se bisognoso di essere continuamente rimesso a fuoco e rilanciato. Dei prossimi piccoli passi ne segnalo tre: una crescita nella spiritualità di comunione tra tutti i missionari “stabili” e una concentrazione sempre più mirata sul fronte dell’evangelizzazione e di una pastorale missionaria, catecumenale.
In questo senso mi appare indispensabile e quanto mai prezioso il “carisma” di don Giovanni, con il suo ruolo di primo responsabile della missione e quindi con il servizio alla comunione fra tutti i missionari e alla “mediazione” sia con la Chiesa nostra di Rimini, sia con la Chiesa albanese.
Il terzo passo riguarda noi di Rimini. Mi pare che dobbiamo gradualmente passare da un aiuto e un sostegno di cui c’è ancora tanto bisogno, stando però attenti a non cadere in atteggiamenti che alla fine potrebbero solo favorire dipendenza e passività. In sostanza, dobbiamo condividere di più: sforzi, tentativi, risorse, esperienze.
La strada è già segnata, e rimane aperta… ”