Non chiamatelo dinosauro: per i giapponesi è “Godzilla” e basta, creatura evocativa della paura del nucleare, apparsa sul grande schermo la prima volta nel 1954 nel film di Ishiró Honda, risuonando più volte al cinema, sciagurato remake hollywoodiano a firma Roland Emmerich del 1998 compreso. Ora è il giovane Gareth Edwards, già autore dell’interessante low budget Monsters(2010) a “prendere in custodia” il celebre mostro e gli va bene: sottolinea gli aspetti legati al nucleare e all’ecologico e riesce efficacemente a mostrare il “rettilone” il meno possibile per dargli lo spazio necessario nella potente battaglia finale tra Godzilla (il nome è un incrocio tra “gorilla” e la grafia giapponese per “balena”) e i due “muti”, terrificanti creature espressione di una terra che ha smarrito il proprio equilibrio.
Ad osservare i mostri con occhi atterriti una varia umanità, dal Giappone fino a San Francisco, dove avviene la resa dei conti: mentre i giganteschi esseri lottano distruggendo città, il “piccolo soldato” Aaron Taylor-Johnson (visto in Nowhere Boy e Kick Ass), privato dei genitori (Bryan Cranston e Juliette Binoche, in una fugace apparizione iniziale) per colpa dei mostri (papà aveva già subodorato che c’era qualcosa che non andava in quel impianto nucleare in Giappone), è intenzionato a fare del suo meglio per debellare le colossali minacce preistoriche e ricongiungersi alla famiglia (la giovine moglie cinematografica è Elizabeth Olsen che ritroverà Johnson nel prossimo The Avengers: i due interpreteranno Quicksilver e Scarlet Witch). Spettacolo ben impostato, si va al sodo con il giusto equilibrio tra dolori e angosce umane, fino alla battaglia conclusiva nella metropoli americana. Il “re dei mostri” ritrova così la giusta dignità cinematografica.
Il Cinecittà di Paolo Pagliarani