Contrariamente a un certo ingenuo e superficiale atteggiamento tendente in passato a identificare il restauro dell’organo antico con il ripristino di una sommaria ed approssimativa condizione di funzionalità, si sono ormai da qualche decennio definitivamente affermati al riguardo i medesimi criteri generali di considerazione storica del manufatto e di rigore metodologico validi per le arti figurative e in genere per l’intero patrimonio storico e artistico. La rinnovata sensibilità per il recupero di questi strumenti musicali, complessivamente considerati nel rispetto degli elementi costruttivi originali e della loro autentica qualità sonora, ha prodotto nel corso degli ultimi vent’anni nel riminese una serie di interventi, significativi per la correttezza delle operazioni eseguite, che hanno restituito “la voce” a queste splendide opere del passato.
Risalgono alla fine degli anni ’80 del secolo scorso i primi due restauri del genere, entrambi effettuati su strumenti del celebre maestro organaro veneto Gaetano Callido: si tratta delle opere numerate nel catalogo autografo come 150 e 151 anno 1779, conservate rispettivamente nella chiesa dei Santi Bartolomeo e Marino (più conosciuta come Santa Rita) di Rimini e nella collegiata di Sant’Arcangelo.
Qualche anno più tardi il restauro dell’organo conservato nella parrocchiale di Sant’Ermete, l’op. 10 del 1863 del maestro riminese Pietro Zanni, ha consentito di far riemergere dall’oblio l’artista romagnolo e la sua opera. Nato intorno al 1840, l’organaro fu attivo tra Romagna e Marche dal 1861 al 1890 – per poi probabilmente trasferirsi a Grado, nell’alto Adriatico – e i suoi strumenti rappresentano una testimonianza importante della manifattura organaria ottocentesca in Romagna. Il seguente ripristino dell’organo del 1785 conservato nella chiesa comunale di S. Lucia a San Giovanni in Marignano (ma proveniente dal monastero di S. Chiara di Rimini) ha rappresentato un’ulteriore riscoperta dell’arte organaria romagnola: si tratta, infatti, dell’opera dei fratelli Francesco e Domenico Ricci da Verucchio, principali esponenti di una vera e propria famiglia di organari attivi in Romagna e nel pesarese tra il 1770 e il 1840.
Due successivi lavori di restauro, fra il 2001 e il 2004, hanno interessato ancora opere di Gaetano Callido, entrambe provenienti da demoliti edifici sacri di Pesaro: si tratta dell’organo conservato nell’abbazia riminese di Santa Maria di Scolca in San Fortunato (op. 427 del 1806) e quello della chiesa parrocchiale dei Santi Biagio ed Erasmo a Misano Monte di Misano Adriatico (probabilmente l’op. 205 del 1784). Per singolare coincidenza il ricollocamento di quest’ultima opera callidiana nella nuova parrocchiale misanese, risalente al 1861, documenta il primo lavoro di Pietro Zanni, mentre il restauro del 1890 dello strumento di Santa Maria di Scolca – con l’aggiunta di un registro di Corno Inglese e dei Campanelli – conclude l’attività dell’organaro in terra romagnola.
Realizzato nel 2008, il recupero del prezioso organo settecentesco conservato nella chiesa di San Giovanni Battista a Cerasolo di Coriano ha riportato alla luce il nome, fino ad oggi sconosciuto, di un ulteriore autore romagnolo, il maestro organaro Francesco Vasconi, che nel cartiglio a penna applicato al di sopra della tastiera si firma «Franciscus Capitanus Vasconi Ariminensis fecit Anno 1787».
Sempre al 2008 risale il restauro del monumentale strumento del 1888, l’op. 24 del cremasco Pacifico Inzoli, conservato nella chiesa di Santa Croce del convento dei Frati Minori a Villa Verucchio. Si tratta di un organo sinfonico i cui registri – oltre al Principale con i suoi armonici – imitano l’intero strumentario dell’orchestra: gli archi vi sono rappresentati al completo, dal Violino, alla Viola, al Violoncello e Contrabbasso; fra gli strumenti a fiato spiccano il Flauto traversiere, il Fagotto, la Tromba e il Cornetto; non manca, infine, la percussione, rappresentata da Gran Cassa con Piatti, Rullante e Cariglione (ossia i Campanelli).
Fra il 2008 e il 2009, per finire, due impegnativi lavori di restauro hanno interessato ancora l’opera di Pietro Zanni: l’organo del 1882 nell’antica chiesa di San Martino di Riccione e quello del 1870 nella chiesa parrocchiale di Santa Maria a Corpolò di Rimini. La paternità dell’opera riccionese – offuscata dalle numerose gravi alterazioni alla struttura originale operate nel corso del XX secolo – è stata confermata grazie al ritrovamento del contratto d’acquisto (datato 6 giugno 1881) e di un prospetto dei registri autografo con le caratteristiche tecniche dello strumento, documenti che hanno consentito il ripristino della configurazione originale e la ricostruzione in copia degli elementi modificati. Il citato contratto riccionese – che termina con l’affermazione che «l’organo promesso sarà uguale in tutto e per tutto a quello della Parocchia di Corpolò eccettuato la gran cassa e piatti» – ha consentito di risolvere il dubbio pure sulla paternità di questo precedente lavoro, anch’esso pesantemente rimaneggiato e depauperato di gran parte del materiale originale a causa di uno sciagurato intervento del 1929.
In conclusione, gli interventi realizzati non soltanto hanno recuperato l’antica voce di questi documenti sonori del passato – testimonianze fondamentali dell’arte, della civiltà e della storia del territorio – ma hanno ulteriormente stimolato l’attività di catalogazione degli strumenti e la ricerca d’archivio, operazioni indispensabili alla tutela del patrimonio artistico e storico.
Mauro Ferrante