Alla nascita di Gesù, angeli, magi, Erode, sacerdoti, pastori, Simeone, Anna esprimono sentimenti di gioia, preoccupazione, ammirazione, speranza. Anche Maria in seguito manifesterà lo stupore e la sofferenza per lo smarrimento nel tempio: «figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre ed io, angosciati, ti cercavamo» (Lc 2,48). Giuseppe invece non pronuncia mai una parola, non rivela la gioia per la nascita del figlio, né il disagio quando è costretto all’esilio. Egli è l’uomo di azione, del fare silenzioso, dell’attenzione verso Gesù «il figlio di Giuseppe» (Lc 3,23; Gv 1,45), «il figlio del falegname».
Come gli aveva ordinato l’angelo (Mt 1,24), prese il bambino e la madre e fuggì in Egitto (2,14), tornò nel paese di Israele (2,20), salì a Betlemme per il censimento (Lc 2,4) e rispettando l’usanza, portò al tempio Gesù neonato per la purificazione (2,22-23) e dodicenne per la Pasqua (2,42). La sua guida decisa e comprensiva trasmette a Gesù fiducia nella vita, stupore per la natura, compassione per la sofferenza, pazienza e coraggio nella difficoltà, e lo introduce nella intimità con Dio, chiamato poi con il profondo e intenso appellativo di Abbà. Educa Gesù all’obbedienza, nel senso di ascolto della parola di Dio e dei fatti della vita che lo porteranno ad essere obbediente fino alla morte di croce (Fil 2,8). Egli ci insegna che può essere chiamato padre anche chi guida alla maturità una vita sbocciata. Il nome Giuseppe, che in ebraico significa «il Signore aggiunga (altri figli)», conserva pertanto una sua verità in quanto lo rivela testimone e modello per molti. La Bibbia assicura che questa paternità non comporta una partecipazione alla procreazione di Gesù.
Su questo concordano gli evangelisti Matteo («quello che è generato in lei viene dallo Spirito Santo») e Luca («lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra»), ai quali si potrebbe aggiungere una significativa testimonianza antica: Ireneo e Tertulliano leggono Giovanni 1,13 al singolare «il quale (Gesù) è nato da Dio» e non da volere di carne o da volontà d’uomo. Questo tipo di paternità permette a Gesù «adottato» di essere considerato discendente di Davide ed erede delle promesse e benedizioni divine ad Abramo (Mt 1,1).
Anche nei confronti della sposa, Giuseppe è l’uomo dell’azione silenziosa. Quando scopre che la fidanzata, prima di trasferirsi ufficialmente nella sua abitazione, è incinta, rinuncia a denunciarla pubblicamente, meritandosi il titolo di «giusto» (Mt 1,19) sia nei confronti di Dio che di Maria. Verso di lei rivela grande stima e fiducia, senza nutrire dubbi, anche se non sa spiegarsi l’accaduto e vive nell’angoscia. Quando la tensione diventa eccessiva, Dio interviene: «Giuseppe, non temere di prendere con te Maria tua sposa» (Mt 1,20). Così Giuseppe che intendeva contrarre un matrimonio come i suoi coetanei, accetta di dare una svolta alla vita, diventando il custode della Vergine. A differenza di chi cerca il piacere senza amore, Giuseppe sceglie l’amore senza il piacere e nell’obbedienza a Dio vive una esistenza piena di gioia, di attenzioni, di tenerezza.
Benito Marconcini