Per chi non ha figli piccoli e non è direttamente interessato alla questione, il clamore di questi giorni sorto intorno al progetto di affidamento a realtà private di alcuni asili e scuole dell’infanzia del Comune di Rimini ha fatto pensare ad una vera e propria rivoluzione, una specie di massacro del “servizio pubblico” a favore di chissà quali bande di autodefinitisi educatori. Sul prossimo numero approfondiremo la questione per spiegare ai lettori pro e contro, ma un primo impatto ci racconta di una tempesta in un bicchier d’acqua. Va premesso che a Rimini già il 50% dei servizi all’infanzia è in mano al privato, laico (Ceis) e soprattutto cattolico (parrocchie e istituti religiosi) e che già da due legislature nei programmi elettorali del sindaco Gnassi si parla di: “esternalizzazione dei servizi educativi”. Il motivo reale è che mancano i soldi, ci sono impedimenti nelle nuove assunzioni e che addirittura, risparmiando, si può, con il privato, ampliare il servizio (apertura fino a sera e il sabato). Il progetto sarà progressivo e si completerà in tre anni, coinvolgendo alla fine 5 scuole materne e 1 nido (ovvero il 34% delle materne e il 12% dei nidi). Va rammentato che negli anni scorsi i servizi di mensa, ausiliari di pulizia e il sostegno ai bambini con disabilità sono già passati al privato. Dunque la questione riguarda la gestione complessiva e gli insegnanti, per i quali, ed è garanzia di legge, verranno richieste qualifiche, fatti controlli, verificata la qualità del progetto educativo; il personale dovrà rispondere degli stessi titoli, idoneità, requisiti richiesti oggi. Indirizzo e controllo, coordinamento pedagogico e ispezioni restano al Comune.
Di fatto il servizio rimarrà pubblico, come avviene ora, ma parzialmente organizzato con modalità gestionali diverse. Dal punto di vista pratico dunque non cambierebbe nulla per bambini e famiglie.
Al solito i toni sono alti, la capacità di dialogo poca, la strumentalizzazione politica alta (con l’evidenza un po’ comica che parti del centrodestra da sempre fautrici dell’integrazione pubblico-privato si ritrovano paladine del pubblico costi quello che costi). Nello sparacchiare un po’ a caso sul nemico, sono state coinvolte le cooperative sociali, certamente interessate alla gestione, ma che per il momento si sono “ritirate silenti ad aspettare gli sviluppi”.
Anche perché la scelta del privato sarà effettuata tramite bando europeo con procedura aperta alla quale potranno partecipare non solo cooperative ma qualsiasi impresa (teoricamente, anche srl straniere). Dunque, una tempesta perfetta in un bicchier d’acqua, dovuta a cattiva informazione? O una vecchia battaglia ideologica?
di Giovanni Tonelli