Nell’ultimo anno la provincia di Rimini ha perso circa mille aziende e per la prima volta il numero totale è sceso sotto quota 35mila. Meno aziende spesso vuol dire meno opportunità di lavoro. Problema non secondario in un territorio che ufficialmente conta 15mila disoccupati, ma conteggiando gli scoraggiati e i giovani che emigrano (un paio di centinaio l’anno) sicuramente sono molto di più. Poi ci sono 65mila persone, che pur avendo un’età per lavorare (15-64 anni), risultano inattive. Qualcuno probabilmente è fermo per scelta, ma per tanti cittadini ciò avviene per mancanza di opportunità.
Purtroppo, delle mille aziende scomparse, seicento erano guidate da giovani sotto i 35 anni, che ancora una volta finiscono per ritrovarsi tra i più penalizzati. Si parla – è avvenuto anche di recente durante la manifestazione Rimini Wake Hub – di startup, cioè di nuove imprese il più delle volte promosse da giovani, che mettono a frutto ricerche fatte all’Università o in qualche Laboratorio, oltre alle passioni personali. A parte l’uso disinvolto di questo termine, che dovrebbe ricorrere solo quando la nuova impresa inventa e mette in produzione un bene o servizio che prima non esisteva (aprire un bar, per quanto innovativo, non vuol dire avviare una startup!), anche su questo fronte Rimini è in ritardo nel contesto regionale. Sono arrivate a 43 le startup classificabili come “innovative”: erano 8 fino a tre anni fa quindi qualche miglioramento c’è stato, ma Rimini rimane comunque terzultima nella classifica regionale, superando solo Piacenza e Ferrara.
Avviare un’attività: che impresa! Le semplificazioni introdotte dai vari Governi stanno aiutando, ma avviare una impresa, in questo Paese, rimane ancora un cammino irto di ostacoli. Anche quando il volume d’affari è solo di qualche decina di migliaia di euro.
Dopo gli adempimenti, la seconda difficoltà riguarda la mancanza di finanziamenti. Secondo uno studio dell’Università di Bologna e di Aster, 9 volte su 10 le startup possono nascere solo con i soldi di genitori, nonni e zii (quando a disposizione). Familiari e amici hanno un peso anche nel finanziare le imprese nella famosa Silicon Valley (Stati Uniti), ma con percentuali decisamente più ridotte.
Mancano all’appello le banche, che dovrebbero trasferire i risparmi raccolti in progetti imprenditoriali validi, per alimentare così la crescita dell’economia. A volte basterebbe anche poco. Secondo un’indagine dell’Università Bocconi, le imprese giovani che ricevono finanziamenti bancari superiori a 20mila euro raggiungono la dimensione di PMI (Piccole Medie Imprese) nei successivi tre anni. Cosa che accade più raramente se il finanziamento viene negato.
Ricerca e innovazione. Sono altri ingredienti fondamentali per la crescita di un’economia ma anche qui Rimini non brilla. Se, infatti, l’investimento medio di un’impresa innovativa, in provincia, è di 41mila euro, in Emilia Romagna si sale a 114 mila euro. Quasi tre volte di più.
Spesso si attendono i bandi europei, gestiti dalla Regione, ma non è raro rimanere a mani vuote. Come è capitato per i finanziamenti dedicati alla ricerca e sviluppo, del programma Horizon 2020-SME Instrument, destinati alle PMI: su 37 aziende finanziate in Emilia Romagna nel 2014-2015, nessuna aveva sede a Rimini, ma ben 21 sono di Bologna (dove, guarda caso, c’è la maggiore concentrazione, anche grazie all’Università, dell’attività di ricerca).
È andata un po’ meglio, per le imprese della provincia di Rimini, con il Bando per progetti di ricerca e sviluppo delle imprese promosso dalla Regione: sono riuscite ad ottenere finanziamenti sei imprese, una nel settore Edilizia e costruzioni, una per Industrie culturali e creative ed altre quattro in altri settori.
Primo Silvestri