La dipendenza dal gioco d’azzardo, dicono gli esperti, costituisce un grave problema a livello personale, familiare e sociale. Problema che spesso ha conseguenze devastanti che si riscontrano e si palesano progressivamente, in relazione ad una crescente perdita della capacità di porre limiti al coinvolgimento nel gioco e al verificarsi di perdite economiche sempre più frequenti. Quando il gioco d’azzardo, trasformandosi da comportamento occasionale, diventa abituale fino a divenire esperienza che catalizza il resto della vita, si può osservare nel giocatore un vero e proprio restringimento del campo di coscienza e aspetti quasi psicotici correlati alla perdita dell’esame di realtà.
È quello che è accaduto a Maurizio Legora che durante la serata organizzata dalla parrocchia di Rivabella ha portato la sua testimonianza diretta. Una parrocchia sempre attenta alle tematiche di stretta attualità. Ecco perché il Consiglio pastorale di “Nostra Signora di Fatima” ha deciso di organizzare una serata sul gioco d’azzardo. A coordinarla ci ha pensato Silvia Sanchini, membro del Consiglio pastorale parrocchiale ed ex presidente nazionale della FUCI.
“La mia era una famiglia borghese e benestante. Sono figlio unico e di conseguenza viziato e abituato ad avere tutto. I problemi nascono quando vengono a mancare mia madre e mio padre nel giro di appena undici mesi. Mi sono trovato senza la terra sotto i piedi. Mi mancavano pochi esami alla laurea, studiavo Scienze politiche, ma alla fine l’università non l’ho mai finita. Intanto ho iniziato a lavorare e nel momento in cui al fine settimana smettevo di lavorare, mi ritrovavo a casa da solo”.
E proprio in quel momento il tarlo del gioco ha iniziato a insinuarsi.
“Come sfogo, per tentare di colmare il mio vuoto, mi sono buttato sulle scommesse per le corse dei cavalli, perché negli anni ’90 non c’erano ancora sale giochi con VLT o Slot. Il gioco mi permetteva di staccare dalla mia realtà e questo si è protratto per 23 anni. Il problema è stato proprio il fatto che non avevo capito che il gioco era un problema. Credevo che giocare non lo fosse allo stesso livello della droga o dell’alcol. Ho avuto la fortuna di non cadere mai in mano agli strozzini e parenti e amici non mi hanno mai abbandonato. In tutto questo però, non sei più te stesso. Vivi alla giornata e perdi anni di vita, diventi l’ombra di te stesso. Ho perso 23 anni di relazioni sociali e di relazione e comprensione di me stesso”.
Che, ora, però, cerca di recuperare portando la sua testimonianza e facendo capire che il gioco è una dipendenza patologica vera e propria.
Sara Ceccarelli