Tempo fa ho conosciuto un ragazzo cinese di 17 anni, chitarrista di un gruppo rock riminese. La sua sfacciata pronuncia romagnola mi aveva sorpreso in quegli occhi a mandorla. Di dove sei? “Sono nato a Ravenna, dove faccio lo Scientifico”. Ma sei mai andato in Cina? “Più volte con i miei genitori, là ho molti parenti”. E cosa dicono di te? Mi guarda e sorride: “Che sono come un limone, giallo fuori e bianco dentro”. I suoi amici cinesi, nella loro antica sapienza orientale, hanno capito quel che gli italiani faticano ad intendere, che la buccia è una cosa e il contenuto un’altra. Il dibattito sullo Ius Soli, al momento accantonato per motivi elettorali, è stato involontariamente riportato in prima pagina dal messaggio sulle migrazioni del Papa (che in verità non ha proprio come suo primo obiettivo la politica italiana). La posizione della Chiesa comunque è chiara: bambini e ragazzi nati in Italia, figli di persone regolari che vivono e si comportano nel migliore dei modi, vanno a scuola con gli altri, parlano la lingua italiana e hanno il desiderio di integrarsi pienamente nella nostra realtà hanno il diritto di sentirsi cittadini italiani. Naturalmente, come accade ormai non solo in Italia, la discussione è stata estremizzata, e c’è chi ha mischiato, volutamente e arbitrariamente, ius soli a migrazioni e terrorismo, che come si diceva una volta c’entrano come i cavoli a merenda. Ma l’obiezione più diffusa è quella che si sta cancellando l’identità italiana, un’“invasione barbarica” insomma. Certo che si dica questo in Italia, terra di sintesi di mille culture e popoli, dai greci ai fenici, dagli etruschi ai romani, i barbari (quelli veri), i normanni, gli arabi, i francesi, gli spagnoli, i tedeschi… E forse proprio questa bastarditudine ci fa più creativi e geniali di altri… Certo qualcosa sta cambiando e non solo nel colore della pelle degli atleti negli stadi. Non è la fine del mondo, è l’inizio di un mondo nuovo (come, del resto, è sempre accaduto). Dipende da ciascuno tenere fede alla nostra realtà, alla nostra religione, ai nostri valori. E qui, invero, forse siamo noi a mancare di identità, quella che pretendiamo dagli altri. È chiaro che chi viene deve accettare le regole della nostra società. Appartenere ad una nazione è una scelta personale e responsabile. Da questa scelta derivano una serie di doveri di partecipazione, di crescita, di sviluppo del Paese in cui si ha deciso di vivere. Questo dobbiamo pretendere. I dati reali (non quelli gridati) ci dicono che non è in atto nessuna invasione religiosa. Il pericolo terrorismo è forte dove si sono creati dei luoghi che sono diventati dei ghetti chiusi. L’integrazione reale diventa importante per non correre questo pericolo. E nelle nostre scuole italiane, almeno questa, funziona bene.
Giovanni Tonelli