Non possiamo mettere in conto a Dio il tragico disastro che è costato la vita a Dayana, al suo papà e a tante altre vittime. Una catastrofe devastante che si poteva e si doveva del tutto evitare, e di cui altri hanno il dovere, davanti al tribunale divino e alla giustizia umana, di assumersi la gravissima responsabilità”. Nella sua omelia “Non siamo soli”, tenuta per i funerali della piccola Dayana Arlotti e del padre Williams, celebrati martedì 20 marzo in Basilica Cattedrale, il vescovo Francesco invita a riflettere sul significato di una tragedia, come tante altre, apparentemente incomprensibile. “È l’ora del buio” esordisce mons. Lambiasi. Ma, prosegue, è anche “l’ora del pianto”, quella in cui “mentre accarezziamo con gli occhi del cuore le bare di Dayana e del suo babbo, proviamo brividi di tenerezza nei confronti dei loro cari”. È l’ora in cui “le possibili parole di umano conforto” risultano “puramente palliative” e “si spengono in gola” mentre “le labbra ci rimangono sigillate in un silenzio sgomento e impotente”. Mons. Lambiasi sottolinea il forte smarrimento che può innescarsi in tante persone, di fronte a storie tragiche come quella delle vittime della Costa Concordia. Così come forte è il rischio di restare “intrappolati nei labirinti dei perché più tragici e sempre troppo grandi per noi umani”.
Dov’è Dio quando avvengono queste tragedie? La risposta, prosegue l’omelia del Vescovo, è da rintracciare nella “ora del grido”. Nell’eco del Crocifisso che “dando un forte grido, spirò”. E nel grido del povero che chiede ascolto. “C’è un povero più povero di un inerme agonizzante nello strazio indicibile di un naufragio? – si chiede Lambiasi – E c’è un povero più povero di una bambina innocente e indifesa, che in quella immane sciagura può contare solo sulla stretta protettiva ma fatalmente impotente del suo papà? Nella sua morte Gesù e ogni vittima rimangono saldati in un solo mistero, abbracciati in un solo destino”. La risposta alla domanda iniziale è che “Dio è sempre là dove c’è un suo figlio che soffre e muore”. Questa è la verità, prosegue: “appesi alla croce della violenza e della debolezza; crocifissi con i chiodi della malattia, del fallimento, dell’errore e dell’inganno; nell’agonia della speranza e nel tradimento dell’amore, nella paura di dover imboccare il tunnel buio della morte, non siamo soli”. Le ultime parole sono di preghiera per papà William, “per l’estremo atto di amore nel rimanere affianco alla sua bambina in quell’ora tremenda”. “Associalo alla tua Pasqua” chiede il Vescovo al Signore. A Maria l’appello è invece quello di custodire “il tenero germoglio della piccola Dayana” e farlo ritrovare “sbocciato come un candido fiore nell’eterna primavera, quando Dio tergerà ogni lacrima dai nostri occhi”.