Il desiderio di famiglia e la volontà di darne una a bambini che non ce l’hanno. Da questa duplice spinta d’amore nasce, in tante coppie, l’impulso per intraprendere il lungo e complesso percorso dell’adozione internazionale. Un sentiero irto di ostacoli, fatto di burocrazia, carte, documenti, viaggi all’estero.
Una serie di prove che, nell’ultimo anno, sono diventate quasi insormontabili: la pandemia, e la conseguente chiusura dei confini, infatti, hanno fatto venire meno la possibilità per tanti genitori di recarsi nel Paese di adozione, tra i presupposti fondamentali per concludere il percorso.
Trasformando, all’improvviso, tanti aspiranti genitori in “genitori sospesi”.
Adozioni e pandemia, numeri e criticità
Nello specifico, sono 2.900 le coppie italiane che a dicembre 2020 sono in attesa di completare l’iter per l’adozione internazionale.
Mentre, per quanto riguarda le adozioni arrivate a conclusione, si avverte in modo palese l’effetto del Covid: 526 quelle totali nel 2020 in Italia, al contrario delle 969 del 2019 e delle oltre mille degli anni precedenti.
Un sistema, quello delle adozioni internazionali, che a causa dell’emergenza attuale rischia di incepparsi, assieme al futuro di tanti bambini. Lo denuncia Eanet for Adoption, rete di cui fanno parte 10 dei 40 enti italiani autorizzati alle adozioni oltre confine, spiegando come ad oggi quasi il 70% della somma stanziata nell’agosto scorso dal Decreto Bonetti (2.350.000 euro per 50 enti autorizzati) è rimasto ancora inutilizzato a causa della farraginosità della procedura.
“Dopo un anno – sottolinea Eanet for Adoption – il sistema è in grave crisi e si rischia il collasso. Chiediamo un nuovo atto che almeno si uniformi alle modalità previste per tutte le altre realtà destinatarie di sostegni. Non chiediamo privilegi, solo pari diritti e dignità”.
Rimini e l’assurdo caso dell’Etiopia
Tra le difficoltà generali del sistema di adozioni internazionali, c’è anche un caso che mostra profonde criticità già da tempo, da ben prima dell’arrivo del Covid. È il caso dell’Etiopia, che nel 2018 con una nuova legge ha completamente bloccato tutte le adozioni, facendo finire diverse coppie adottive italiane in un limbo normativo, congelato ormai da tre anni.
Tra i genitori in questa situazione c’è Bianca Festa, avvocato riminese e il marito Paolo Magotti, entrambi volontari di Centro Aiuti per l’Etiopia onlus, ente autorizzato di cui Paolo è referente regionale per l’Emilia-Romagna.
“Al momento la situazione è ferma. – spiegano – Eravamo in attesa del secondo bambino, dopo che nel 2013 avevamo accolto in famiglia la piccola E., ma con la legge etiope che ha bloccato tutto ci troviamo a vivere questa situazione di stallo ormai da tre anni, assieme ad altre 50 coppie in Italia che avevano già mandato tutti i documenti necessari in Etiopia”.
Un fulmine a ciel sereno?
“Si è trattato di un cambio di legge etiope che non ha minimamente tenuto conto della normativa in vigore fino a quel momento e, soprattutto, di tutti i casi pendenti di adozioni internazionali. E così, tutte le coppie che non avevano ancora avuto l’abbinamento con un bambino, ma che avevano già fatto arrivare tutti i documenti necessari in Etiopia sono state bloccate. E, per intenderci, riuscire a far arrivare i documenti per l’adozione in Etiopia è il risultato di un lungo e impegnativo percorso, fatto di anni di preparazione dei documenti richiesti dalla legge italiana ed etiope, traduzioni e legalizzazioni, corsi e incontri con i servizi sociali del territorio, esami medici e udienze presso il Tribunale minorile. L’arrivo della pandemia, inoltre, non ha fatto che complicare ulteriormente le cose”.
Un limbo che, come detto, dura ormai da tre anni. Dal 2018 a oggi non è cambiato nulla? In che direzione vi state muovendo?
“In questi anni abbiamo fatto di tutto per permettere di focalizzare l’attenzione su questo problema. A partire dal nostro territorio, dove diversi politici ci hanno dato il proprio appoggio, prendendo a cuore la questione. Ma spingendoci sempre più in alto. Siamo riusciti a far arrivare una lettera delle coppie in attesa di concludere l’iter adottivo al Primo MInistro etiope direttamente in Etiopia, e non solo: siamo andati a parlare ai vertici delle nostre istituzioni, in Senato e dal Presidente della Camera Fico, fino ad arrivare, addirittura, da Papa Francesco”.
E com’è andata?
“È stata proprio la nostra piccola E. a consegnare la lettera nelle mani del Santo Padre. Un momento molto intenso: con la consegna di quella lettera, abbiamo percepito di aver messo nelle sue mani tutto, non solo l’opportunità di dare un futuro a un figlio che da anni ci sta aspettando, ma anche a tutti quei genitori che vivono la nostra stessa situazione e si sono trovati impotenti, senza alcuna possibilità di far sentire la propria voce”.
Qual è la speranza più concreta, al momento?
“Qualche possibilità di sviluppo può arrivare con le elezioni politiche che si terranno a breve in Etiopia, che potrebbero portare a un cambiamento di rotta rispetto alla legge attuale sulle adozioni. Ci auguriamo fortemente che questo avvenga, soprattutto perché l’abbandono minorile in Etiopia è sempre più diffuso e la fame continua a uccidere, ancor prima del Covid. È necessario un cambiamento, al più presto.
Ma le elezioni in Etiopia non sono l’unica via per un cambio di rotta: sarebbe opportuno, e potrebbe essere determinante, anche un intervento più deciso e incisivo da parte dell’Italia. Soprattutto considerando che il nostro Paese ha fatto investimenti importanti in Etiopia: Italia ed Etiopia riescono a dialogare molto bene quando si tratta di questioni economiche, ed è dunque difficile comprendere come non sia stato possibile fino ad oggi far sì che l’Etiopia rispettasse gli accordi presi con il nostro Paese, facendo terminare l’iter adottivo correttamente intrapreso dalle 50 coppie italiane ancora in attesa”.