“Quelli delle vongole“, così erano chiamati i membri della famiglia Amati di Riccione, nelle ultime decadi dell’800. Gli Amati, riccionesi che si sono resi protagonisti di un piccolo grande primato: i primi, in Italia, a iniziare la produzione di arselle in scatola. Rodolfo Francesconi, nel suo racconto Gli insegnamenti del mare (Raffaelli Editore, 2018), parte da questo avvenimento per raccontare non solo una saga familiare, ma anche la storia di un territorio. Quello di Riccione che, non ancora città, viene mostrato da una prospettiva inusuale, quella della quotidianità, delle abitudini, dei passatempi e dei mestieri di ben due secoli fa.
Riportiamo di seguito un estratto del libro, in cui viene narrata la nascita dell’idea che portò alla prima impresa di produzione di arselle in scatola nel nostro Paese: il Conservificio Amati.
Un mestiere creativo
“La spiaggia, in quei tempi, era quasi totalmente abbandonata, ma già iniziavano ad aumentare le ville costruite quasi dove batteva il mare; ben 27 ne esistevano nel 1893. […] Erano anni molto difficili, quelli fra il 1895 e il 1898, per la ‘marmaglia’ locale: tempo inclemente, raccolti miseri, povertà diffusa. […] Nel 1898, il 27 ottobre, si sposò, all’età di 31 anni, la sorella più giovane, Laura, con Serafino Del Bianco; teniamo presente questo mese che risulterà una peculiarità della famiglia; nello stesso si diede avvio alla costruzione della Pensione e Ristorante Amati, terminata nel 1901. A questo punto fanno capolino le arselle! «Ande’ a coi i calzinel!». L’invito imperioso – nelle case si usava solo il dialetto – aveva scosso i ragazzi diverse volte, specie dopo le tempeste invernali, quando la spiaggia era zeppa di ogni specie di molluschi, ma soprattutto di telline, di cannelli e di poveracce strappate dalla furia delle onde dai loro nascondigli abituali, pochi centimetri sotto la sabbia, più profondi i cannelli, un poco appartate le vongole, quasi in superficie i calcinelli. Dovevano essere raccolti subito, freschi, per poter poi essere utilizzati per cucinare con questi il riso. […] E quando le telline o arselle o Donax trunculus non venivano buttate dal mare, o meglio quando erano buttate solo le sue valve, ma vuote, con che cosa erano sostituite nel menù dell’albergo? Con le vongole, ma il gusto raffinato si era eclissato!C’era una bella differenza fra una Donax trunculus, della famiglia Donacidae e dell’ordine delle Veneroida e una comune vongola Chamelea gallina, anche se a questa, per nobilitarla, le era stato applicato anche l’attributo Venus! Forse si potevano mantenere, come i pesci che venivano fatti durare con l’uso delle antesignane delle ghiacciaie, le conserve. […] Ma i molluschi no! Si poteva al massimo seguire il consiglio dell’Artusi: «Per conservare i molluschi a conchiglia bivalve, vanno tenuti in luogo fresco, legati assai stretti in un sacchetto o in un canovaccio. D’inverno ho così conservate fresche le telline fino a sei giorni, ma non è da azzardare perché i molluschi riescono molto indigesti se non sono freschi». E allora, come rispettare il menù dell’albergo che era aperto tutto l’anno ma lavorava soprattutto in estate, quando i consigli non potevano essere seguiti?
«E se li mettessimo in scatola?». L’idea scaturì improvvisa ai due fratelli, dopo che iniziarono a penetrare in cucina le prime scatolette di pomodori e legumi Arrigoni e dei piselli Cirio. Vollero subito fare una prova e, non disponendo di lattine nuove e soprattutto delle apparecchiature per chiuderle, provarono a far bollire le telline in poca acqua appena il tempo di fare aprire loro le valve e far fuoriuscire il commestibile, e sgàtle, che travasarono con il loro sugo, la poca acqua di mare che ancora contenevano, in alcune bottiglie di vetro, tappate ben bene, anche con la pece, proprio quella usata per calafatare le barche; poi le misero in pentoloni pieni d’acqua e le sottoposero a una lunga bollitura a bagnomaria. Attesero oltre i sei giorni indicati dall’Artusi per aprire le bottiglie, e si resero conto, all’assaggio, che l’esperimento aveva funzionato, perché le telline erano ancora squisite, proprio al naturale. […] Ma la sperimentazione doveva essere ancora compiuta e allora i due fratelli si trasferiscono con scatolette e macchinari in un locale attiguo alla cucina dell’albergo del fratello maggiore, dove, oltre a sgusciare le arselle, sterilizzano le scatole facendole bollire nello stesso pentolone che serviva per cuocere la pastasciutta ai clienti dell’hotel.
In questa maniera Lucio Amati inizia a Riccione, primo in Italia, la produzione di arselle in scatole. Proprio quelle che aveva buttato il mare!”.