Francesca… da Rimini a Parigi

    Il sole, la spiaggia, la piadina col prosciutto tutto l’anno… perché si fugge da Rimini? La città rivierasca esplode ogni estate di turisti e viaggiatori che vengono da tutta Italia e da tutto il mondo. Qualcuno, poi, rimane e decide di passare la propria vita qui. In effetti, a dispetto di tante polemiche, a Rimini, c’è un bel mare, soprattutto nei mesi tra aprile e giugno, quando ancora i turisti non lo riempiono di ombrelloni e lettini; o in autunno, il clima è buono, si mangia bene, si sta bene. Eppure sono anche tanti quelli che, alla ricerca di altro, decidono di lasciare queste sponde. I motivi sono vari, legati in particolar modo ad una pigrizia culturale che sonnecchia sopra tutto il paese. Se si esce per un attimo dalla lista di luoghi comuni – in parte veri – che fanno della costa un bel posto in cui vivere, ci si trova in mezzo ad un deserto culturale da cui si fugge, magari a malincuore, alla ricerca di luoghi più stimolanti, non soverchiati dal nepotismo o da piccole e grandi mafie che cercano sempre di mettere nei posti chiave figli, nipoti, amici e quant’altro, castrando qualsiasi velleità di realizzazione personale e professionale. È la cosiddetta fuga dei cervelli, che colpisce anche Rimini.
    Tra questi cervelli c’è anche quello di Francesca Fiorenza, che insieme si è portata via anche il resto del corpo, e oggi vive a Parigi. Classe 1973, da sempre Francesca è appassionata di informatica, internet e tecnologia. Così, una volta laureata, a fine anni ’90, si è accorta che in Italia mancavano le prospettive per dare vita ad una professione interessante e appagante ed è fuggita in Francia. Oggi è capo progetto di un’azienda di Smartcard e lavora nella ricerca e sviluppo del servizio di identità, cioè di quel servizio che ha a che fare con passaporti elettronici, carte d’identità elettroniche, patenti elettroniche eccetera.
    “Fuggita è il termine giusto – ci racconta – all’inizio è stata durissima. A chi espatria oggi consiglio sempre di preparare tutto con cura, perché io mi sono limitata a salire in macchina in Italia e scendere in Francia. Senza parlare una parola di francese, senza casa, senza conto in banca, senza amici, senza niente. Solo con un contratto di lavoro. È stato molto difficile. Ma poco a poco le cose sono migliorate ed oggi, a quasi nove anni di distanza, sono completamente inserita nella società francese!
    Guardandoti indietro, pensi che avresti potuto fare qui in Italia il lavoro che fai adesso in Francia?
    “Assolutamente no. Il primo motivo per cui ho lasciato l’Italia è che la qualità del lavoro delle aziende di informatica italiane era molto deludente e di bassissimo livello. Dopo la laurea ho iniziato a lavorare a Bologna, ma presto ho sentito il bisogno di testare ambienti professionali più stimolanti. Il primo lavoro che ho avuto in Francia è stato a Versailles e non ho esitato un attimo. Poi mi sono trasferita a Parigi”.
    Stretta tra due paesi molto simili ma che condividono anche qualche attrito (forse proprio per le somiglianze), Francesca dice di non sentirsi più né francese, né italiana. Ma com’è la sua vita parigina? “Non ho avuto problemi di accoglienza. Qui si dice che non esiste il parigino, non c’è un’identità precisa. Nella sede francese dell’azienda in cui lavoro siamo 400. È un’azienda internazionale, abituata agli stranieri. L’integrazione è molto buona. Certo, non è il paradiso, problemi ce ne sono ancora – soprattutto per gli immigrati extraeuropei che spesso svolgono i lavori più umili – ma l’accoglienza è buona. Con i francesi è sempre uguale, all’inizio sono molto silenziosi, riverenti, paurosi di lanciare una battuta di troppo. Quando capiscono che sono la prima a giocare ironicamente sulle mie origini, allora si rilassano ed è un piacere prenderci in giro e parlare di tutti gli stereotipi francesi e italiani, confermandoli o esorcizzandoli”.
    E si scopre che qualche luogo comune non solo è vero, ma ci si può ridere anche sopra, come la bise, l’abitudine dei parigini a baciarsi tutti e continuamente, ad ogni saluto, ad ogni incontro, in ogni momento della giornata. Oppure la famigerata mancanza del bidet, accessorio da bagno immancabile in Italia – anche se con nome francese – e invece assente nel paese d’oltralpe. Non è il caso di scendere nel dettaglio, ma spesso è da questi piccoli gesti quotidiani che ci si accorge che qualcosa è cambiato nella propria vita, che ora si vive in un luogo diverso, lontano, che si muove su altri binari.
    Così, giorno dopo giorno, Francesca da Rimini ha costruito la propria vita francese, notando, anche inconsciamente, le differenze tra i due paesi.
    “Parigi è Parigi! Qui c’è davvero tanto. E soprattutto le cose funzionano bene! I servizi sono perfetti ma i parigini si lamentano. I mezzi pubblici? Talmente in orario che ci puoi regolare l’orologio. Dunque i primi tempi che ero in Francia, facevo gli occhi a uovo sodo quando vedevo il metrò che era perfettamente in orario, al minuto. Dopo anni da pendolare con le ferrovie italiane, si può immaginare! Eppure i francesi si lamentano sempre!”.
    Dall’altra parte qualcosa manca. Anzi, più di qualcosa. Ed è la famiglia, ma anche il mare, il clima.
    “A Parigi il clima è grigio – dice Francesca – nuvole, pioggerella, grigio… e ancora grigio! Senza parlare della cucina. Quella italiana in generale, ma quella romagnola in particolare”.
    È un continuo agitarsi di nostalgia, ricordi e vita che scorre. La Ville lumière contro Rimini? Il risultato sembra scontato, eppure anche la terra della piadina, ben ancorata nella memoria e nel passato, ha le sue carte da giocare. Ma è vero, purtroppo, che pensare di svolgere in Italia dei lavori appaganti o anche solo “all’avanguardia” è spesso un sogno che rimane irrealizzato, e alla fine ci si trova davanti ad un bivio, uno dei tanti. E la vita va verso direzioni inaspettate.

    Stefano Rossini