Serenità e fermezza di giudizio, ma soprattutto chiarezza di fronte a una vicenda che è singolare. Parliamo della sentenza con cui la Cassazione ha confermato quanto stabilito dalla Corte d’appello di Brescia in merito all’affidamento esclusivo di un minore alla madre che ora convive con un’altra donna, rigettando il ricorso del padre.
Va premesso che, come tutte le vicende offerte al giudizio dei magistrati, riguarda un caso individuale del quale non potremo mai sapere tutto se non leggiamo integralmente le carte. Quello che è sicuro è che i magistrati avevano l’obiettivo di garantire il miglior interesse di un minore in una controversia che riguarda due genitori che si sono separati. Probabilmente in quella vicenda particolare la Cassazione ha davvero scelto il male minore per il bambino, peraltro in presenza di una situazione anomala e di un padre che si sarebbe contraddistinto per atteggiamenti violenti.
Occorre dire che il caso giudiziario concreto è stato risolto ricorrendo ad alcuni eccessi che potevano e dovevano essere evitati, usando un’argomentazione che minimizza il problema dell’affidamento a coppie omosessuali. Non spetta ai magistrati fare affermazioni di questo tipo, invocando oltretutto la mancanza di dati scientifici in relazione a uno status che non ne ha – e forse mai ne avrà – perché non è facile indagare in merito, non c’è un contesto sociale diffuso di minori all’interno di coppie omosessuali che possa consentire ricerche empiriche in materia. L’argomentazione usata è superflua ed eccedente alle necessità della sentenza stessa. Mi pare quindi che i magistrati siano stati quantomeno imprudenti, ammesso che non l’abbiano fatto intenzionalmente, altrimenti bisogna parlare di una vera e propria scorrettezza.
Sulle conseguenze che avrà questo giudizio occorre dire che le sentenze della Cassazione non hanno valenza normativa, vanno sempre lette in chiave strettamente giuridica, con riferimento al caso singolo o a eventuali casi assolutamente analoghi, per i quali si crea il precedente. Il problema, qui, non è giuridico, ma sociologico-politico, con una sentenza che ora viene usata in modo indebito nel dibattito pre-elettorale.
Francesco D’Agostino, giurista e docente all’Università di Roma Tor Vergata