Interrogato su quale fosse il film preferito, papa Francesco non ha avuto troppe esitazioni nel rispondere: La strada. “Mi identifico con quel film nel quale c’è un implicito riferimento a san Francesco”.
E di quel bisogno primitivo e specifico all’uomo che spinge ad andare oltre.
Non meravigli, dunque, che un convegno, in origine pensato a marzo a Roma e a Rimini in occasione dei cento anni dalla nascita, intendesse esplorare questo aspetto del cinque volte Premio Oscar. Rimandato forse ad ottobre, il convegno è ora preceduto – ironia della sorte – dagli Atti, che diventano una suggestiva, preziosissima bussola per orientarsi nel genio di FF e affrontare lo spessore spirituale del regista finora non appieno indagato.
Cecilia Costa, docente di Sociologia processi culturali presso l’Università Roma Tre e docente di Sociologia presso l’Istituto Superiore Di Scienze Religiose, “Ecclesia Mater” della Pontificia Università Lateranense, è tra gli autori del volume: da sociologa si è occupata di scandagliare contraddizioni e provocazioni nell’immaginario religioso di Fellini.
Qualsiasi opera d’arte è spesso il tramite per esprimere il sentimento proprio degli autori. Quello di Fellini è spesso critico, a tratti corrosivo, verso il sacro, o meglio, verso certe forme del sacro. Quella tra il regista e l’elemento religioso è dunque un’impossibile alleanza?
“Non solo è possibile, ma fruttuosa. In tutti i suoi film, Fellini interroga, interpella il tema religioso e il sacro. Ciò non significa che abbia risolto dentro di sé questa insopprimibile domanda, ma denota l’attenzione intensa e appassionata verso aspetti della realtà meno visibile. Non solo è attento all’immanenza ma comprende che ci sono spazi che sfuggono all’intelligenza umana e che si possono riassumere nel sacro.
Questo suo interrogarsi costantemente, in maniera più o meno manifesta, lo fa comprendere come un autore che non è affatto lontano dalle domande fondamentali sulla vita e sul destino dell’essere umano.
La compatibilità tra la persona e il sacro non è data dall’adesione immediata, ma dal porsi domande, dall’interrogarsi nello spazio del dubbio. E FF lo fa”.
Fellini sembra sempre in bilico, non risolve mai la questione religiosa. Ma alcune manifestazioni del sacro, come il pellegrinaggio al Divino Amore ne Le notti di Cabiria, o la gerarchia ecclesiastica stigmatizzata in Roma, sono corrosive, quasi dissacranti.
“Può anche non risolvere la questione religiosa ma ne è sempre affascinato e proteso, anche nelle proteste che dissemina nelle sue opere, e nelle manifestazioni negative che ne offre.
Il sacro si intreccia ad altri aspetti che lo nascondono e lo depauperizzano e glielo fanno criticare.
In fondo, Fellini è quasi commovente nel suo rincorrere e affrontare il religioso, quasi un pensiero fisso; irritante quando pensa di averlo trovato in alcune manifestazioni.
Come molte persone che abbandonano la fede a motivo della ‘regola’, della struttura normativa della fede, anche il regista è rimasto con quell’idea di fede rigorista nella quale è nato e cresciuto, senza riuscire a compiere il passaggio successivo.
Ciò che più conta, invece, è l’adesione e l’esperienza, la fede tocca l’uomo per attrazione, sosteneva Paolo VI.
Non dimentichiamo, però, anche l’epoca in cui cinematograficamente Fellini si forma: sono gli anni Sessanta e Settanta, uno dei periodi di maggiore contestazione di sempre”.
Le notti di Cabiria è tutto percorso dall’attesa del miracolo. Ma l’unico miracolo è quello a cui si assiste nel finale del film: l’incontro con gli altri, la solidarietà, quell’autenticità che sola permette di andare avanti nel circo dell’esistenza.
“L’attesa del miracolo è l’espressione moderna del tessuto sociale. Papa Francesco parla della religiosità popolare e, quindi, del pellegrinaggio come luogo teologico, ed è una forma in cui si incontra fisicamente il sacro che non è mai andata in crisi, neppure nella postmodernità, praticata da credenti e da indifferenti.
Nelle scene al Divino Amore si respira il pathos dell’incontro: è il momento della comunione tra trascendenza e immanenza.
Fellini risolve l’attesa nell’autenticità e nella solidarietà tra Cabiria e il gruppo di ragazzi che incontra: è elemento della modernità più avanzata, ma anche un nodo assai problematico.
Da una parte c’è la positività di un’operazione che dà valore all’autenticità e alla solidarietà, però in maniera sofistica esclude la trascendenza e la verità. Quel problema che la Chiesa si trova di fronte.
L’autenticità è positiva, ma è anche quella del ‘Grande Fratello’, è il disagio manifestato in maniera virulenta sui siti internet, o il ’sono così e faccio quel che voglio’ espresso in altre trasmissioni televisive.
Se ogni opera mostra un livello pubblico ed uno personale dell’artista, potremmo dire che FF risolve la sua impotenza intima, interiore, di fronte al sacro nella solidarietà, nel raggiungere l’altro.
Mentre Cabiria, consolata dalla solidarietà e dall’autenticità, esce di scena e non sappiamo con quale prospettiva, l’adultera del vangelo, salvata dalla verità, se ne va via, dribblando il ’plotone d’esecuzione’ e con ben altro futuro in mano”.
Prof.ssa Costa, perché definisce Fellini un profeta del divenire culturale?
“Non è ateo ma non crede, vorrebbe e quando crede ha paura di credere. Ha anticipato un fenomeno tutto moderno. Lo spazio del dubbio fa incontrare chi crede e non crede, scriveva J.
Ratzinger in Introduzione al cristianesimo, fotografando in qualche modo l’uomo di questa modernità avanzata.
Fellini guarda incredulo nello spazio del dubbio, del suo dubbio, ma c’è sempre qualcosa che gli sfugge e lui è troppo intelligente per non comprenderlo”.
È forse per questo che non mette mai la parola fine nelle sue opere? L’unica volta che compare, per un errore della redazione, nella prima puntata de Il viaggio di Mastorna sulla rivista Il Grifo, Fellini interrompe la pubblicazione.
“Quelli del regista appaiono come pseudo-finali. Fellini non vuole il ’the end’ perché non lo sa, non lo vuole, ha paura di terminare.
Ogni film sembra un espediente per trovare il passo successivo.
Fellini non conclude, lascia aperte le soluzioni nel tentativo di eternizzare il presente”.