Dicono che il mal d’Africa sia qualcosa di travolgente. Che ti penetra dentro le ossa e che non ti lascia più vivere. Ne sa qualcosa Federica Guerra, 20 anni, riminese doc che, nel «continente nero», c’è volata più e più volte con i suoi genitori. Proprio durante uno di questi soggiorni, dopo un safari in Kenya, ha deciso che quello sarebbe stato il suo futuro. E così, a differenza dei suoi coetanei, che generalmente scelgono Paesi come l’Australia o la Nuova Zelanda, oppure qualche altro luogo in Europa, lei ha scelto l’Africa.
Federica, perché questa scelta insolita?
“Diciamo che è stato un vero colpo di fulmine, l’Africa è un paese in cui le differenze, rispetto a dove sono nata e cresciuta, sono abissali. In Italia si sono persi alcuni dei principali valori, non mi è mai successo, per esempio, di emozionarmi e piangere per un tramonto: qui, sì. E poi ho scoperto che scarseggiano le guide professioniste con alle spalle studi approfonditi sulla fauna e la flora della savana. Chi decide di venire in vacanza qui e vuole visitare il territorio, generalmente si affida ai «beach boys», ragazzi del luogo che s’improvvisano guide, ma che non hanno una conoscenza di ciò che li circonda. Ma esiste un’associazione, l’AIEA, che forma guide professioniste che parlano italiano, esperti con certificazioni riconosciute in diversi paesi dell’Africa. Ed io ho appena conseguito il corso di primo livello dell’AIEA”.
Un percorso non facile e molto lungo. Tutte le specializzazioni richieste, infatti, sono in lingua inglese e i corsi prevedono anche un supporto pratico di diversi anni, giusto?
“Giustissimo, ma questo non mi spaventa, sono tenace e sono sicura che arriverò fino in fondo”.
Per essere guida a tutti gli effetti è obbligatorio conseguire almeno cento ore di «pratica» sul campo: dove hai svolto questo tirocinio?
“In una riserva privata in Sudafrica, perché nessuno nessuno si assume la responsabilità di portare un giovane a fare esperienza in un safari. E così ho deciso di fare questa esperienza che è stata di volontariato: facevo monitoraggio e cambio dei radio collari a leoni, ghepardi, giraffe e leopardi per conoscere l’ecosistema in cui vivono”.
Nostalgia di casa?
“Certo, l’Italia, Rimini, mi mancano da morire. Come mi mancano la mia famiglia e i miei amici che, però, fanno il tifo per me. Sinceramente a volte mi chiedo chi me lo abbia fatto fare, soprattutto quando mi prendono quelle botte di nostalgia. Con altrettanta franchezza, però, devo dire che non ho esitato un solo istante prima di salire sul volo verso quello che è il mio più grande amore: l’Africa”.
Chi ti conosce dice che saresti potuta diventare una buona giocatrice di pallavolo: è un sogno che hai abbandonato definitivamente?
“Gioco a pallavolo da quando avevo sei anni. Ho sempre militato in una società sportiva locale (la Stella San Giovanni, ndr) dove ho svolto tutto il percorso giovanile fino ad arrivare, lo scorso anno, in serie C con la prima squadra. E sono stati proprio gli insegnamenti maturati in campo sportivo, come la lealtà, lo spirito di aggregazione che si crea in squadra, la tendenza che si sviluppa a lottare per raggiungere un obiettivo, che mi hanno aiutato a prendere questa decisione di volare in Africa. Lo sport ti forma nella vita e nel carattere, e se c’è una cosa che il volley mi ha insegnato, è a mettercela tutta, a buttarmi con il cuore in ogni avventura. Oggi voglio mettermi alla prova in questa nuova esperienza e dimostrare le mie potenzialità”.
Lucia Genestreti