Con l’operina Aucassin et Nicolette di Mario Castelnuovo-Tedesco si è inaugurata la diciannovesima edizione del Festival Pergolesi Spontini
JESI, 31 agosto 2019 – Un’avventurosa storia d’amore, coronata dal lieto fine. Nonostante la favola di Aucassin et Nicolette risalga al XII secolo, le peripezie che devono attraversare i due giovani innamorati mostrano più di un’analogia con l’attualità. Così questa chante fable, che alterna sezioni in versi e in prosa, deve essere sembrata a Mario Castelnuovo-Tedesco un soggetto fra i più adatti a un’opera. La sua intenzione di metterla in musica, tuttavia, fu momentaneamente accantonata, per poi prendere forma solo due decenni dopo, nel 1938: anno delle famigerate leggi razziali. Pur essendo già programmata al Maggio Fiorentino, il compositore dovette lasciare l’Italia a causa delle sue origini ebraiche, trovando rifugio negli Stati Uniti dove finì a scrivere colonne sonore per Hollywood – un esilio dorato che lo accomunava ad altri colleghi, soprattutto tedeschi – e per la première, sempre al Maggio, fu necessario aspettare il 1952.
Da allora, però, le rappresentazioni di questa ‘Cantafavola del XII secolo per una voce, qualche strumento e qualche marionetta’ non sono state tanto numerose: averla scelta come titolo inaugurale del diciannovesimo Pergolesi Spontini Festival, specializzato nel recupero di rarità, rappresenta quindi una scelta controcorrente e senz’altro degna d’interesse.
Rispetto all’originale, l’esecuzione jesina ha introdotto qualche variante: in primo luogo la lingua, che non è più il francese, ma è divenuta l’italiano nella traduzione di Marco Attura e Cristian Carrara (attuale direttore artistico del festival); l’interprete vocale, poi, qui non è unica, ma si sono alternate tre diverse cantanti; mentre più che di marionette, nello spettacolo firmato da Paul-Émile Fourny, si può parlare di teatro d’ombre. Tutte trasformazioni che non hanno comunque impedito di apprezzare una musica molto bella e una compattezza drammaturgica che rende vivido il tenero legame fra i due giovani, sbalzando con grande evidenza plastica le traversie cui vanno incontro. Separati ogni volta da eventi più grandi di loro, i due protagonisti – lui è un nobile di Provenza, lei una schiava saracena, che si scoprirà essere principessa di Cartagine – continuano a rincorrersi per terra e per mare fino al ricongiungimento finale: una riflessione sui sentimenti che mantiene inalterata la sua attualità.
Flavio Emilio Scogna ha diretto i dieci strumentisti del Time Machine Ensemble riuscendo a valorizzare la complessa partitura di Castelnuovo-Tedesco (il compositore fiorentino era stato allievo di Pizzetti), che – dopo un primo quadro dall’andamento più concitato – si distende, alternando momenti d’intenso lirismo a suggestivi echi di sonorità arcaiche. Le oasi strumentali intervallano una scrittura vocale – dove sembra di avvertire la lezione di Debussy – basata su un impegnativo declamato: l’interprete ha il compito sia di sostenere il ruolo del narratore sia di dare voce ai due protagonisti e agli altri personaggi. Come già detto, a Jesi si sono avvicendate tre cantanti: Chiara Ersilia Trapani ha affrontato il primo quadro, il più difficile vocalmente, sforzandosi d’imprimere espressività a un racconto che implica bruschi salti di altimetria. Martina Rinaldi è stata l’efficace narratrice del secondo, così come Evgenia Chislova nel terzo, mentre tutte tre hanno preso parte al quarto e ultimo quadro.
Lo spettacolo di Fourny, onirico e leggero, si apre con due bambine che – muovendosi dalla platea – danno l’impressione di azionare la semplice macchina scenica ideata da Benito Leonori: ombre, come disegni infantili, che si proiettano su dei velatini oltre i quali è collocata l’orchestra, con un palese omaggio a Lele Luzzati che di questo genere di rappresentazioni è stato l’insuperabile maestro.
Chissà che effetto avrà prodotto lo spettacolo sugli spettatori più giovani. È vero che si tratta di una favola, ma oggi appare perfetta soprattutto per molti adulti, che hanno bisogno di essere invitati alla riflessione. Forse, ancor più dei bambini.
Giulia Vannoni