Nello scorso mese di ottobre si è tenuta, a Cesena Fiere, organizzato dalla Camera di Commercio della Romagna (Forlì e Rimini), insieme a quella di Ferrara e Ravenna, con l’adesione delle maggiori associazioni economiche del territorio, la settima edizione di Fattore R. Una delle rare occasioni per riunire imprese e istituzioni della Romagna e discutere di economia locale.
Il tema di quest’anno (a parte i danni dell’alluvione, ricordata dai Sindaci intervenuti) era l’innovazione, centrale tanto per le imprese quanto per le istituzioni pubbliche, per crescere ed essere competitivi. Le presenze non sono mancate, ad un gruppo di imprese è stata data anche la possibilità di presentarsi. Peccato che tra queste nessuna fosse di Rimini. Di norma le conclusioni sono svolte da economisti noti, che portano la loro versione del contesto nazionale e internazionale del momento, conoscendo poco o niente della Romagna.
Dalla kermesse non sono, però, ancora emerse le criticità della Romagna, che marcano non poco la differenza con l’Emilia. Due dati per tutti: il valore aggiunto, che rappresenta la ricchezza creata, per residente è di 27.000 euro in provincia di Rimini, poco meno di 29.000 a Ravenna e 30.000 a Forlì-Cesena, ma a Bologna raggiunge 37.0000 euro, a Parma 35.000, a Modena 34.000 e a Reggio Emilia 33.000 (2021). A cascata, visto il minor diametro della torta, in Romagna sono più basse anche le retribuzioni medie per il lavoro dipendente privato: 16.000 euro a Rimini (il 62° importo su 103 province nazionali), 21.000 a Forlì-Cesena e 22.000 a Ravenna, quando a Bologna, Modena, Parma e Reggio Emilia si guadagna intorno ai 26.000 euro (Inps, 2021). Non sono differenze trascurabili, soprattutto per Rimini. Tutto questo trova spiegazioni nel turismo, prevalentemente balneare e presente soprattutto in Romagna, dove il lavoro è stagionale e i salari bassi, anche per la minore produttività generale del settore (il valore aggiunto nel settore alloggio e ristorazione nazionale è di 22.000 euro, contro 78.000 euro della fabbricazione di macchinari e 40.000 della confezione di abbigliamento, secondo il Rapporto competitività 2023 dell’Istat).
Una realtà per certo non ottimale, che costringe molti giovani ad emigrare (sono 29.000 gli emigrati iscritti all’Aire, ma sono molto di più, originari dalla provincia di Rimini, un po’ meno a Forlì-Cesena e Ravenna) alla ricerca di maggiori e migliori opportunità. Giovani che, perdurando certe carenze, spesso non tornano. Con una perdita netta di risorse umane, quando più ce ne sarebbe bisogno, visto il calo demografico.
Come recuperare questo e altri svantaggi, per uno sviluppo futuro più inclusivo e che offra migliori opportunità occupazionali e d’impresa, dovrebbe costituire un impegno di tutti. E magari entrare nella riflessione delle prossime edizioni di Fattore R. per evitare che Romagna, faccia rima con Ritardo.