Ogni luogo della Romagna ha il suo tenore. Senza dubbio, il più famoso è Alessandro Bonci, nato a Cesena e morto a Viserba: è a lui che la sua città natale ha dedicato nel 1927 il bellissimo teatro comunale e quest’anno si accinge a festeggiarne il centocinquantenario dalla nascita. Fra i tenori amati da Verdi ci fu anche il forlivese Angelo Masini e, per celebrarne la notevole carriera (svolta soprattutto all’estero), nel 1903 gli fu intitolato un gioiello come il teatro di Faenza.
Rimini non vanta personaggi di questo calibro, tuttavia un posto di rilievo fra le glorie cittadine lo ha avuto Ettore Parmeggiani (nato il 15 agosto 1895 nel Borgo San Giuliano), seppure oggi noto solo agli specialisti e agli amanti delle incisioni storiche. Primogenito di un barbiere dalla numerosa figliolanza, apparteneva a una famiglia che amava la musica operistica. Studiò canto prima al Liceo Musicale di Pesaro, in seguito a Milano, dove prese anche avvio la sua carriera con una Tosca al Teatro Dal Verme nel 1922. Da allora cominciarono le esibizioni in numerose località della penisola – più rare invece le puntate all’estero – dove si affermò in ruoli da ‘lirico spinto’, ampliando continuamente il repertorio. Vi figuravano tutti gli autori dell’epoca: da Pizzetti e Malipiero (fu il protagonista di alcune sue prime esecuzioni) a Wolf-Ferrari e Zandonai. Interpretò numerose opere, un tempo popolari, come La Gioconda di Ponchielli o Zazà ed Edipo re di Leoncavallo, accanto agli evergreen pucciniani Butterfly, Bohème e Gianni Schicchi. A questo elenco vanno aggiunti i titoli più celebri del verismo come Lorely, La Wally, Fedora, Adriana Lecouvreur e tanto Mascagni: Cavalleria rusticana, Silvano, L’amico Fritz, Iris, Nerone, Isabeau. Né potevano mancare Verdi (La traviata, Rigoletto, Macbeth) e, in via più residuale, Lucia di Lammermoor e Norma.
La svolta radicale della carriera di Parmeggiani avvenne nel 1927, quando cantò Lohengrin al Regio di Parma. Da allora interpretò innumerevoli volte il protagonista wagneriano, che divenne il personaggio più caratterizzante del suo repertorio. Proprio a Parma il grande direttore Arturo Toscanini ebbe, forse, occasione di ascoltarlo e nel novembre di quello stesso anno lo invitò alla Scala come interprete del Franco cacciatore di Weber e, poco dopo, di Sigmund nella Walkiria. La consacrazione wagneriana era ormai avvenuta e di lì a poco completò l’intero Anello del Nibelungo, oltre a interpretare I maestri cantori all’Arena di Verona. Seguiranno Parsifal, sempre alla Scala (1936), e Tristano a Modena, insieme ad altre incursioni in opere straniere: dal Cavaliere della rosa di Strauss a Boris e Kovancina di Musorgskij e all’immancabile – per quegli anni – Sansone e Dalila di Saint-Saëns. Curiosamente, nell’ultima parte della carriera, aveva scoperto Monteverdi, Purcell e Gluck, che all’epoca si cantavano senza troppe preoccupazioni filologiche.
I giornali locali spesso davano conto dell’eco dei suoi successi, comunque il legame con Rimini fu sempre molto stretto e si esibì al teatro Vittorio Emanuele in più occasioni. Ben tre i concerti: il primo, ancora giovanissimo, fu nell’ottobre 1915, poi nel ’35 con la direzione del compositore Zandonai e nel ’39 a fianco di Irene Minghini Cattaneo. In veste di protagonista maschile cantò poi, in anni diversi, Lucia, Isabeau e Lecouvreur e fu tra gli interpreti della première (1928) di Graziella del quasi conterraneo Augusto Massari. Il ritiro avvenne nel 1948: nel frattempo la sua casa di Rimini era stata distrutta da un bombardamento degli alleati, facendogli perdere tutto, ma non la passione per il mondo del teatro.
Trascorse infatti gli ultimi anni come capo claque – attività assai più nobile di quanto lo sia adesso e che presupponeva una buona conoscenza delle opere – alla Scala fino al 29 gennaio 1960, quando si spense a seguito di una trombosi.