Si indossa come se fosse un vestito, un po’ come un’imbracatura da montagna, per intenderci, e grazie a dei motori all’altezza delle anche e del ginocchio, consente a chi ha perso l’uso degli arti inferiori di tornare a camminare. In pratica, un “robot” che funge da muscolatura artificiale. Nessun miracolo, però. Il recupero di una delle azioni più elementari della vita quotidiana, sarà lento e faticoso. Dall’altra parte, i benefici fisici e psicologici legati alla sensazione di stare nuovamente in piedi sulle proprie gambe, per chi ormai aveva perso la speranza, non avranno pari.
È la tecnologia al servizio della sanità, che in termini tecnici prende il nome di esoscheletro. Una innovazione tutta italiana che tra le mura dell’ospedale accreditato “Sol et Salus” di Torre Pedrera si concretizza in un progetto preciso, chiamato Phoenix, di recente presentato anche in Parlamento grazie all’interesse dell’on. Daniela Sbrollini, vicepresidente della Commissione Affari Sociali della Camera dei Deputati.
Ci racconta tutto il dottor Davide Mazzoli, direttore del laboratorio di Analisi del movimento e biomeccanica della struttura riminese.
“Stiamo parlando di una innovazione che può aiutare pazienti con lesioni spinali che comportano una paralisi parziale o anche totale degli arti inferiori, a ricominciare a camminare con un apposito ausilio” spiega il dottore che presiede il team di esperti deputati alla selezione dei candidati.
L’ospedale accreditato di Torre Pedrera ha finora seguito due pazienti tra i 38 e i 40 anni. Il progetto è solo agli inizi, ma già sono in attesa di poter avviare il percorso di training altre persone, tra cui un francese, un ucraino e una giovane alpinista italiana salita di recente alle cronache per un gravissimo incidente durante un’escursione.
Fondamentali, nella scelta dei pazienti, alcuni fattori che Mazzoli ed il suo staff chiamano “scale di misura”. “Vogliamo accorciare sempre più i tempi di valutazione, per arrivare a capire rapidamente e in maniera precisa se un potenziale utente può effettivamente sottoporsi al progetto” prosegue Mazzoli. Ogni caso è a sé, molto varie possono essere le condizioni iniziali dei pazienti e molto diverse possono essere le risposte al training. Tradotto: non tutti possono utilizzare l’esoscheletro e non tutti, anche a percorso iniziato, possono dare lo stesso feedback positivo.
“Nelle persone con lesioni spinali totali il percorso sarà molto più difficile e faticoso. Ad esempio, se un paziente, come la maggior parte dei paraplegici, non ha sensibilità agli arti inferiori: “L’esoscheletro presuppine comunque un controllo dell’equilibrio da parte della persona” precisa Mazzoli. Le difficoltà aumentano, fino a compromettere la fattibilità, anche per chi è costretto in carrozzina da molto tempo. Ma, soprattutto, è basilare la volontà del paziente.
L’esoscheletro non è una “passeggiata” e molti potrebbero chiedersi: perché abbandonare la carrozzina che costa poco e mi consente di muovermi con relativa velocità, per sforzarmi a tornare in piedi, camminare a fatica e, per giunta, spendere di più? “Perché l’esoscheletro consente di riappropriarsi, seppur lentamente e parzialmente, di un’attività motoria con tutti i benefici che ne conseguono: – è la risposta di Mazzoli – quelli fisici, legati alla prevenzione dei problemi cardiocircolatori che ben conoscono i pazienti costretti a stare fermi, e quelli psicologici, derivanti, ad esempio, da una bella passeggiata al mare”. L’obiettivo del progetto Phoenix è proprio questo: mostrare come l’innovazione tecnologica possa, se ben indirizzata, aiutare il disabile a migliorare la propria qualità di vita.
L’esoscheletro, come tecnologia, è utilizzata da tempo all’estero, soprattutto negli Usa. Da alcuni anni è arrivata in Italia. Alla clinica riminese tutto è iniziato quando Mazzoli è entrato in contatto con la realtà italiana che lo produce, la MES di Roma. “Sono strumenti che raggiungono cifre da 70 a 120mila euro e indirizzati soprattutto agli ospedali. Ma lo Stato, agli utenti, passa poco o nulla di questi costi. Gli esoscheletri messi in commercio da questa ditta romana, spiega Mazzoli, hanno prezzi un po’ inferiori, anche se ancora importanti e sovrastimati, a detta dello stesso esperto, rispetto alla tecnoogia stessa. “La mia volontà – afferma Mazzoli – è di indirizzare la tecnologia direttamente ai pazienti, selezionandoli e formandoli adeguatamente”. L’auspicio è di far rientrare questi strumenti nei supporti medicali coperti dal Servizio Sanitario Nazionale
Ma quanto dura il training? “Noi ci siamo dati un massimo di 15 giorni. I primi 5 servono a valutare l’appropriatezza dello strumento sul paziente, sul quale è già stata fatta una valutazione clinica appropriata, per capire se il training può proseguire con efficacia”. Se tutto va a buon fine, valutati l’abilità del paziente e i benefici ricavati, questi può acquistare l’esoscheletro e utilizzarlo in autonomia nella vita di tutti i giorni.
Come è successo alla ragazza (nella foto durante la dimostrazione avvenuta in Parlamento il 18 ottobre scorso) che dopo essere arrivata a “Sol et Salus” per una prova, è riuscita a riacquisire una grande autonomia. In poco tempo.
C’è ancora molto da fare per questa innovazione e, parallelamente, sul fronte della “ricettività” dei potenziali utenti che ancora non percepiscono l’esoscheletro come un bisogno. Intanto, però, qualcuno è tornato, seppur accompagnato da un ausilio artificiale, a camminare al di fuori di un ospedale. E a riassaporare i piaceri di una vita in piedi.
Alessandra Leardini