Per garantire l’osservanza della ortodossia continuò ad essere utilizzato il processo inquisitorio. In mano ai padri di san Francesco durante tutto il Cinquecento, esso servì in primo luogo per colpire le eresie filo protestanti. Nel nostro territorio la presenza di eretici non dovrebbe, però, essere stata molto diffusa, perché i casi di cui è rimasta notizia sono pochi e per lo più limitati a Santarcangelo, e mancano notizie di norme contro i possessori di libri eretici. Continuavano, a circolare, invece, libri di magia, anche se a Rimini non sono attestati casi di magia diabolica e stregonesca, perché semmai, come già detto, ci si limitava a ricorrere allo “strepitare delle campane”, all’utilizzo di “reliquie portentose” e a tutta una serie di pratiche legate all’inizio della buona stagione e propiziatorie della fertilità dei campi. Permanenza di riti di origine pre-cristiana piuttosto che vere e proprie eresie.
La terza competenza inquisitoriale era quella legata agli <+nero>ebrei convertiti<+testo> (più o meno spontaneamente), ritenuti perseguibili qualora fossero ricaduti negli antichi riti, ma anche a questo riguardo non è attestata nessuna particolare causa. L’unico intervento di cui si è a conoscenza è l’istanza di un frate Orso del convento dei minori di San Francesco, che chiede che gli ebrei siano costretti a portare i segni distintivi, secondo quanto stabilito dal Concilio Lateranense IV nel lontano 1215. La comunità ebraica presente a Rimini durante il Cinquecento non era numerosa (si parla di una decina di famiglie), ma era una comunità particolarmente vivace specie sotto il profilo culturale: raccoglieva ebrei provenienti dalla Spagna e dall’area franco-tedesca; orefici, banchieri, sarti, conciapelli, tintori, ma anche medici tra cui un Mantino di origine spagnola, lettore di medicina all’università di Bologna e ben introdotto alla corte del papa Clemente VII. Inoltre, tra il 1502 e il 1527 la famiglia Soncino aveva impiantato una fiorentissima stamperia che aveva sedi sparse non solo in Italia, ma anche a Costantinopoli, a Tessalonica e al Cairo e che pubblicò importanti opere in lingua ebraica, ma anche testi in latino e in volgare, tra cui I suppositi di Ludovico Ariosto, commissionati da umanisti non ebrei. Era una comunità che si poteva permettere di costruire più di una sinagoga. Della seconda sinagoga, eretta in contrada San Silvestro, rimane un’iscrizione che la data al 1510. L’iscrizione venne a lungo studiata anche da Iano Planco, che la riteneva, invece, contemporanea alla costruzione del Tempio Malatestiano.
Dopo la bolla di Paolo IV Cum nimis absurdum nel 1555, che stabilì la costruzione dei ghetti, la comunità venne riunita lungo la via Bonsi, dove sembra sia rimasta almeno fino alla metà del secolo successivo, nonostante che la bolla di Pio V del 1569 imponesse la cacciata degli ebrei da tutti i possedimenti della chiesa, tranne che da Ancona e da Roma. (6 – continua)
Cinzia Montevecchi