Roberto Mercadini, scrittore e attore teatrale, nato a Cesena, ha un suo punto di vista
“Se fossi un amministratore punterei più sulla cultura”
Emilia e Romagna. Ufficialmente, una cosa sola.
Graficamente, solo un trattino le divide. Un trattino che, però, nasconde una realtà separata da numerose differenze, sociali, storiche e di tradizione. Purtroppo anche economiche.
Da anni, infatti, in Romagna si registrano numeri tendenzialmente inferiori al contesto emiliano, su diversi indicatori socio-economici. Perché queste differenze?
Al di là dei numeri, dei dati e delle analisi tecniche, è interessante indagare se queste differenze strutturali sono percepite anche da chi non è addetto ai lavori, non esperto in materia socio-economica.
Come Roberto Mercadini, scrittore e attore teatrale cesenate. Un narratore, che in quanto tale è in grado di leggere le dinamiche legate alle persone e, quindi, anche quelle del territorio che le persone abitano, rappresentando quella “voce popolare” in grado, anche attraverso una certa dose di ironia, di analizzare la questione da punti di vista nuovi e originali.
Roberto, da cittadino comune, lei percepisce una generale differenza tra Emilia e Romagna? Quali sono, secondo lei, le caratteristiche principali che differenziano l’Emilia (e gli emiliani) e la Romagna (e i romagnoli)?
“ Rispondo non da economista né da antropologo; riferisco semplicemente la mia impressione. Quando vado in Emilia mi sembra di vedere una sorta di Romagna più opulenta e sofisticata. In Romagna uno dei vertici del lusso culinario è rappresentato dai cappelletti in brodo (che già dal XIX secolo si consumano durante il pranzo di Natale): si tratta semplicemente di una pasta con ripieno di formaggio. In Emilia ne esiste una versione ancora più sontuosa: i tortellini, ripieni di carne anziché di formaggio. Agli occhi di un povero barbaro romagnolo come me, certi piatti emiliani sono lussureggianti sofisticherie. Nel comportamento, nel portamento, nel parlare, poi, gli emiliani sembrano di frequente romagnoli civilizzati; cugini che hanno trascorso qualche anno in un collegio svizzero”.
Dal punto di vista strettamente socio-economico, per la sua conoscenza del territorio, da cosa possono essere dovute le differenze che si registrano negli ultimi anni?
“Da profano, immagino influiscano anche le evidenti differenze geografiche. Innanzitutto i centri urbani romagnoli sono più piccoli di quelli emiliani. La città più grande della Romagna è Ravenna, che conta 159.000 abitanti. In Emilia sono molti i capoluoghi di provincia che superano nettamente questo numero: Bologna (oltre 380.000), Modena (187.000), Parma (194.000), Reggio Emilia (171.000), e così via. Sulla riviera romagnola, poi, c’è una forte industria del turismo, frutto dell’intraprendenza e della laboriosità dei romagnoli; la quale tuttavia, per evidenti motivi, ha un carattere stagionale. Per cui, credo, fermarsi ad una media annuale dice poco; occorrerebbero dati più dettagliati”.
Su cosa puntare per ridurre questo gap?
“Non so se si tratti di ridurre il gap. Ripeto, parlo da profano, ma non mi convince del tutto l’idea che la crescita di un territorio implichi l’allinearsi allo standard di qualcun altro, tenerlo d’occhio, rincorrerlo, magari invidiarlo, nella speranza di ridurre il gap. Penso che ognuno dovrebbe concentrarsi sulle proprie reali risorse, ciò che è veramente e autenticamente suo, e su come fare fruttare queste risorse al massimo grado. Il problema vero è esprimere totalmente il proprio potenziale, credo. Almeno, per le persone funziona così”.
Se lei fosse un amministratore, quali misure concrete adotterebbe per risolvere la situazione?
“Sarei tentato di rispondere che mi dimetterei immediatamente, dato che fare l’amministratore
non è il mio posto. Una delle cose migliori da fare nella vita per il bene della comunità è occuparsi di ciò in cui abbiamo talento e competenze, lasciando ad altri i ruoli che non ci spettano. Ma capisco che sarebbe una risposta poco soddisfacente, ancorché onesta e veritiera. Allora sto al gioco e, fantasticando, provo a dire la mia. Tenterei di attrarre un nuovo tipo di turismo, correggendo l’immagine dell’Emilia Romagna che comunemente si ha fuori dalla nostra regione.
Credo (temo) che fuori dalla nostra terra Emilia Romagna sia sinonimo di buon cibo, turismo balneare, ospitalità, gente bonaria e allegra. Tutte ottime cose, ma c’è molto altro da offrire e da raccontare! Si potrebbe puntare sul turismo culturale. Il guaio è che gli stessi emiliano-romagnoli spesso ignorano le ricchezze storiche e culturali della loro terra. Faccio l’esempio di Cesena, che è la città dove sono nato.
All’inizio del 1500 Cesena è stata la capitale del Ducato di Romagna, retto da Cesare Borgia, personaggio leggendario del Rinascimento. Costui ebbe alla sua corte, niente meno che Leonardo da Vinci. Quando Niccolò Machiavelli scrive il Principe e prende ad esempio di sovrano perfetto Cesare Borgia, ecco, sta parlando di Cesena!
Quanti cesenati lo sanno? Temo pochi. Quanti percorsi turistici, musei, strutture ricordano il Borgia e questa straordinaria storia?
Nessuna, che io sappia. In questo modo come possiamo sperare di attrarre turisti da fuori Romagna o (perché no?) da fuori Italia sfruttando una figura tanto magnetica, oscura e suggestiva come Cesare Borgia? Ecco, le ho fatto questo esempio, ma, mi creda, potrei andare avanti per ore. Credo che sarebbe possibile attrarre un turismo di qualità, con persone dotate di un livello culturale e di una disponibilità economica medio-alti”.
Lia Celi è nata a Parma, ma la sua famiglia è romagnola purosangue. A lei abbiamo chiesto di tracciare una differenza di costume tra queste due realtà
“L’Emilia è più austera, la Romagna è felicità e fantasia”
Un’unica regione, ma con due anime ben diverse. La prima, quella emiliana, più austera, laboriosa. L’altra, quella romagnola, più cordiale, più allegra. Due modi di vivere la vita molto diversi, riuniti sotto lo stesso cielo. Trovare personaggi che possano parlare con cognizione di causa di queste diversità non è facile. Eppure, a guardare bene, in casa nostra, c’è qualcuno che può accompagnarci in questo tentativo: Lia Celi. Giornalista, scrittrice, autrice la Celi è nata nel cuore dell’Emilia, a Parma, ma la sua famiglia è romagnola purosangue, come del resto si definisce anche lei.
“Ma non chiedetemi di numeri, stipendi, tasse perché non sono un’economista. Posso parlarvi degli umori, fare rilievi, osservazioni, questo sì”.
Allora ci dica la sua: Emilia e Romagna sono così diverse tra loro?
“Partiamo da un punto fondamentale, sono nata in Emilia, ma la mia famiglia è romagnola purosangue e la mia storia racchiude questa contraddizione. I miei nonni, di Mercato Saraceno, erano piccoli proprietari terrieri e dopo la guerra cercarono lavoro a Cesena e successivamente a Parma. A quei tempi c’era miseria, povertà e i benestanti conducevano una vita modesta. Poi c’é stata una crescita spettacolare, un salto in avanti dell’Italia nelle condizioni economiche e sociali.
Fino a cent’anni fa c’era criminalità, c’erano malfattori e ladri. Le feste di paese erano l’occasione per risse, botte, accoltellamenti e vendette sanguinose. Correva la diceria che i Savoia non passassero dalla Romagna per paura di certa gente: teste calde, mangiapreti, anarchici e repubblicani. E’ vero che c’è ancora questo scalino fra noi e l’Emilia; noi siamo partiti da una posizione svantaggiata, da una miseria e una precarietà economica che l’Emilia aveva già superato.
Partecipando a un corso sul Canale Romagnolo, però, ho avuto delle risposte su come in parte la Romagna abbia potuto riscattarsi e diventare uno dei poli di eccellenza per quanto riguarda la qualità dei prodotti.
La nostra è una terra dove cresce ogni ben di Dio, un orto immenso che sembra un giardino meraviglioso, orientato al biologico. Il Canale è stato uno dei motivi per cui la Romagna si è potuta staccare dalla precarietà delle condizioni atmosferiche e, grazie all’irrigazione più disciplinata e innovativa, è riuscita a diventare un modello, un esempio. Per non parlare del turismo e il miracolo che ha saputo concentrare Rimini grazie all’intraprendenza dei suoi cittadini”.
Quali suggerimenti darebbe per rimediare a questo dislivello e recuperare quella disparità che ci segna ancor oggi?
“Non ho una ricetta magica. L’emiliano ha un po’ più la testa quadrata e gli piace scorrazzare nei circuiti di Maranello con la Ferrari o la Lamborghini, ma è privo della nostra fantasia. Il romagnolo è più sanguigno, pittoresco, gli piace divertirsi e ballare il liscio, ha carattere, ma è un po’ narcisista e si vanta della sua terra bagnata dall’azzurro mare e baciata dal sole. E forse sarà sempre così…”.